Affrontare il monachesimo con le classi seconde della scuola
secondaria di primo grado significa incontrarlo non soltanto dal
punto di vista storico, ma anche culturale ed esistenziale. Parlando
con tanti ragazzi, quello che è emerso è la difficoltà nel
comprendere una caratteristica di questo stile di vita: il silenzio e
la solitudine.
Approfondendo
la questione con giochi percettivi e la lettura di articoli
scientifici, abbiamo capito che questa dimensione toccava
profondamente anche la nostra vita quotidiana, ma l’aiuto più
grande ci è arrivato dalla corrispondenza via lettera con una monaca
carmelitana scalza, suor Emanuela Maria della Trinità, che con le
sue parole ci ha dischiuso nuovi punti di vista.
Abbiamo
infatti capito che il silenzio è la condizione per metterci in
ascolto dell’altro, andando oltre la chiacchiera inutile, e che la
solitudine non significa solo isolamento, ma stare soli a soli col
proprio cuore per cogliere le presenze che lo abitano, fino ad
intuire, per le persone credenti, la Presenza dell’Ospite per
eccellenza.
Attraverso
la scrittura di una vera lettera indirizzata all’insegnante di religione, cosa
che comporta lunghezza nella stesura e nella spedizione, ci siamo
presi il tempo per far emergere le nostre paure e i nostri desideri,
diventando così più consapevoli dell’importanza del dialogo e
dell’amicizia.
Ecco
la lettera di Niccolò, che condivide con noi il suo cuore.
Buon giorno prof.,
ho
eseguito le sue istruzioni: sono rimasto per cinque minuti nella mia
camera in silenzio e da solo. Dopo aver letto le lettere e i video
che ci aveva mandato come spunto, mi sono reso conto che è difficile
avere silenzio totale intorno a noi: ci sono le auto che passano per
strada, la tv accesa giù, la mamma che cucina. Penso di essermi
concentrato e aver chiuso le orecchie per “sentire” il silenzio
intorno a me.
Le
emozioni che ho provato, rimanendo da solo in silenzio, sono prima di
tutto la paura: mi sentivo infatti come se qualcosa mi stesse
osservando; inoltre percepivo un sentimento… come se pensassi che,
rimanendo solo, mi sarei distaccato da tutti i miei amici e dai miei
cari, senza poterli più rivedere.
Svolgendo
questo esercizio mi sentivo a disagio. Facendo una riflessione, ho
capito che il silenzio e la solitudine in certi casi possono aiutare
le persone a star bene, ma, se non si riesce a controllarli, si può
stare invece male: quindi una cosa può essere positiva se viene
dosata e controllata, ma può diventare negativa se ciò non avviene.
Ho
riflettuto sulla solitudine cercata e su quella non voluta: io ho
cercato la solitudine e mi sono sentito “male”, ma non sono
obbligato a stare da solo. Invece ci sono parecchie persone che
vengono emarginate e sono costrette a vivere in solitudine, e penso
che il loro dolore sia immensamente più grande di quello che ho
provato io.
Così
posso infine affermare di essere una persona che sta bene in
compagnia!!!
A
presto!
Niccolò
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