venerdì 26 marzo 2021

Il coraggio di scegliere - cap. 7: Il fulcro di ogni cosa

Una lezione di scienze sulla cellula, una torta al cioccolato, una confessione inaspettata. Come sono collegate queste cose? Affrettati a leggere il settimo capitolo del nostro giallo per scoprirlo!




Alberto ed io stiamo giocando con la Play, consapevoli che da un momento all’altro arriverà Diana per studiare matematica. Bevo la mia spremuta lentamente per cercare di trattenerne il gusto il più a lungo possibile. Sto vincendo io! «Sei un po’ scarso oggi, amico mio» dico ad Alberto, ridendo. «Non è ancora detta l’ultima!» mi dice lui, impugnando il joystick e concentrandosi di più. Il citofono suona, mi distraggo un momento e Alberto vince, ridendo e prendendomi affettuosamente in giro. Io rido con lui, mentre vado ad aprire a Diana.

Il pomeriggio passa veloce tra calcoli, cibo e risate. Nessuno parla del bullo anonimo: non vogliamo rovinare la bella atmosfera che si è creata. La mamma è contenta, mentre ci guarda dalla porta del salotto. «Siete una bella compagnia» dice, mentre ci porta gli orsacchiotti gommosi. «Scusa, mamma, ti diamo fastidio mentre lavori?» le chiedo, visto che il suo studio è la stanza più vicina al salotto. «No, tranquillo, l’articolo l’ho già scritto. Sto solo riguardando quelli dei miei colleghi, ma sono sempre ben scritti» mi dice, sorridendo e avviandosi di nuovo alla sua scrivania. Mamma a volte lavora da casa per poter stare con me: quando lavorava tutto il giorno al giornale non la vedevo mai. Dice che vuole passare più tempo possibile con me, prima che io diventi adolescente, l’incubo di ogni genitore. «Che lavoro fa?» mi chiede Diana. «La giornalista» le risponde Alberto «Adesso puoi capire da dove nasce la sua passione!». Diana mi guarda con i suoi occhi ambrati: sembra stupita, ma non sorpresa. In quel momento mi fermo a pensare a quanto siano belli. Purtroppo, l’ora di cena è arrivata e la mia amica non può fermarsi: ha ospiti a cena. Ringrazia tutti, persino mio papà che nel frattempo è tornato, per poi correre a casa sua.

Oggi alzarmi è più facile, ma allo stesso tempo più pesante: le verifiche di matematica mi fanno paura. Mi preparo velocemente, faccio colazione e in un attimo sono in macchina con Alberto, che accende la musica per allentare la tensione. Matematica è alla prima ora, il mio cellulare vibra: «Numero Sconosciuto: Buona verifica di matematica!». Eccolo, mancava solo questo. Arriviamo davanti alla scuola e mia mamma ci fa scendere, dicendo: «In bocca al lupo!» Alberto ed io rispondiamo: «Crepi!» in coro. Vado in classe con lo sguardo basso, mentre le finestre aperte della scuola sembrano occhi che mi fissano.

Una volta che la verifica l’ho consegnata, l’adrenalina inizia a scendere e il suono della campanella dà inizio al momento più felice della giornata. Il prof. di scienze è già sulla porta e studia le nostre espressioni sfatte. Il nostro insegnante ha un pacchetto tra le mani e lo zaino in spalla. «Prof., cos’ha nel pacchetto?» chiede Marco, incuriosito. «Questa è una sorpresa!» risponde il professore, sistemandosi gli occhiali. «Alzatevi e mettete i banchi contro le pareti. Dopo di che, prendete le vostre sedie e fate un cerchio in centro. Veloci e senza fare troppo rumore!».

In pochi minuti siamo tutti in cerchio al centro dell’aula: sembra grandissima senza l’ingombro dei banchi. Il professore prende la sua sedia e con il pacchetto in mano si sistema al centro. «Questa è una cellula» inizia a parlare, guardandoci uno ad uno: «Voi siete una classe, una cellula. Ognuno ha la sua funzione. C’è il nucleo: contiene le informazioni importanti per la vita della cellula. Io sono al centro, potrei coincidere ora con il centro della vostra cellula, la vostra classe. Ci sono alcuni che riescono ad intravedere gli stati d’animo delle persone intorno a loro: possiamo dire che sono il messaggio, che parte dal nucleo e va nei ribosomi, dove avviane il vero e proprio miracolo». Tutta la classe lo guarda incantata e nessuno osa parlare. «Il ribosoma, aiutato da trasportatori che amano le informazioni, riesce a creare la proteina perfetta, che riesce a portare avanti le funzioni cellulari. Quindi, il compagno curioso aiuta il compagno che ha il compito di trovare la soluzione ai problemi. Poi c’è chi è equo e distribuisce a tutti la propria proteina: si chiama apparato di Golgi. Questi sono quegli studenti che, quando hanno delle matite o dei fogli da distribuire, sono precisi: nessuno ha del materiale in più o in meno rispetto a quello che gli serve». Ormai sono completamente rapito: credo di non aver mai sentito una lezione di scienze così interessante. «C’è anche chi fa tesoro dei regali fatti da altre classi: sono un po’ come degli ambasciatori nati per le pubbliche relazioni. Il loro nome è endosomi: una volta ricevuto il “regalo”, lo portano all’apparato di Golgi, che sa per certo chi ne ha bisogno. Ad esempio, qualcuno ha dimenticato la calcolatrice? Un componente della nostra cellula manda un messaggio ad un componente della cellula vicino a noi per chiedere se ne hanno una da prestarci. Arriva il trasportatore, che rimane sulla porta. Il “compagno endocitosi” va da lui e lo ringrazia, portandola poi al “compagno apparato di Golgi”, che dà la calcolatrice a chi ne ha bisogno. Ci sono i mitocondri che con la loro gioia, chiamata ATP, danno energia alla cellula. Per ultimi ci sono i lisosomi: odiano i fronzoli e degradano le sostanze nocive o inutili per la cellula. Ad esempio, finisce la giornata e qualcuno ha dimenticato un foglio di brutta per terra? Questo compagno prima si accerta che non serva e poi lo butta, in modo da lasciare l’ambiente pulito. Quelli che vi ho fatto sono esempi pratici: ci sono momenti in cui tutte queste dinamiche avvengono e noi non ce ne accorgiamo, sono del tutto normali ed è difficile notarle tutte per chi è dentro alla cellula». Il prof. gioca con il pacchetto che ha tra le mani e poi mi guarda: «Il ribosoma spesso si trova all’interno di una sorta di labirinto, chiamato reticolo endoplasmatico. Questo labirinto facilita la diffusione delle proteine». Momento di silenzio. «Avete domande?» chiede l’uomo al centro della stanza. Credo di aver capito: il labirinto facilita la comprensione di alcune sensazioni che sono completamente estranee a chi non è nella tua stessa situazione. Questo fa soffrire, però permette di aiutare e capire le persone intorno a te. Nel mio caso sono sia messaggero che ribosoma e ciò mi rende bravo nello scrivere. Capto notizie da Martina, amante delle informazioni, e scrivo. Ognuno serve nel luogo in cui è, in tutta la sua unicità!

Alberto alza la mano: «Prof., ma cosa nasconde il suo nucleo?». Lui sorride, aspettandosi quella domanda: «Nel mio nucleo oggi c’è l’informazione più importante della lezione: ognuno nel luogo in cui è risulta necessario. La cooperazione e il sapere di non essere soli ci rendono più consapevoli e ci spingono a fare le cose meglio» dice, aprendo il pacchetto, che contiene una buonissima torta al cioccolato. «Informazione molto dolce» dice, sorridendo e avviandosi verso la cattedra. Tira fuori dallo zaino un muffin alla frutta e lo porta a Martina. «So che non puoi mangiare il cioccolato» le dice «quindi per te ho preparato questo, sperando che ti piaccia». La classe inizia a ridere, a scherzare, il clima si alleggerisce. «Tommaso» mi chiama il prof. «vieni a darmi una mano: distribuisci le fette di torta ai tuoi compagni». Io mi alzo e cala il gelo: il professore lo percepisce e non appena sono da lui, mi fa l’occhiolino. «Non farti scoraggiare» mi dice. Prendo le fette ed inizio a distribuirle: Diego, Giacomo, Marco, Diana, Alberto, Raffaele, Beatrice e persino Olivia con cui ho avuto la diatriba ieri. Appena mi siedo con la mia fetta in mano, la tensione si è affievolita, lasciando spazio all’allegria che il cioccolato porta. Suona la campanella dell’intervallo, ma rimaniamo seduti, mangiando insieme anche al prof., con la consapevolezza di essere chiamati a collaborare e a vivere insieme quel che rimane dei prossimi tre anni. Aspettiamo che anche l’ultimo finisca e poi ci alziamo, il professore mi chiama. «Tommaso, sono proprio contento dei passi avanti che hai fatto oggi. Anche portando la torta, hai capito qual è la tua funzione. Devi ricordarti di portare il messaggio e a volte anche la soluzione, nonostante gli screzi. Questo vuol dire scrivere per il giornalino della scuola!» mi dice con un atteggiamento paterno, di chi ti vuole bene. «Grazie per la sua lezione, prof. Tomasini: credo che non la dimenticherò mai» gli dico, mentre lui si avvia verso la porta.

Il resto delle ore passano velocemente, l’ultima campanella della giornata suona, ma non riesco ad alzarmi e rimango incollato sulla sedia. La classe si svuota, Alberto guarda Diana ed esce in corridoio: rimaniamo solo lei ed io. «Come faccio a sapere che non mi hai mentito?» le chiedo tutto d’un fiato, sperando che la persona che ho davanti sia autentica. Diana rimane in silenzio un attimo, poi mi guarda. «Vuoi davvero sapere perché puoi fidarti di me? Perché vivo tutti i giorni quello che vivi tu: la coscienza che ti parla facendoti male, se ti muovi e urti qualcuno, perché in fondo lo sai che dolore si prova ad essere dall’altra parte. Chiunque abbia preso il tuo profilo, ha toccato il mio punto debole: mi paragono sempre... Vorrei essere bella come Beatrice, ma mi devo accontentare della bellezza dei miei pensieri e delle mie emozioni. Inoltre, sì... tu... tu mi piaci, ma non te ne sei mai accorto, perché troppo preso da lei. Questo mi ha fatto capire che non potevi essere tu a scrivere: sono subito entrata sul mio profilo, perché nessuno lo vedesse, e dopo alcuni secondi i messaggi sono scomparsi. Ho mangiato a mala pena l’altra sera, non ho voluto parlare con nessuno. E tu di punto in bianco sospetti di me, che ti sono stata vicino fin da subito! Mi hai fatto male» dice Diana, piangendo e uscendo fuori dalla classe.

Sono senza parole, rimango fermo con il cuore che batte. Nasce in me la consapevolezza che io, invece, la trovo bellissima, nonostante quello che lei crede di se stessa. Capisco che esistono due tipi diversi di bellezza: quella interiore e quella esteriore. Diana le ha entrambe, Beatrice è bella esteriormente, ma non la conosco bene interiormente. Sono consapevole di dover scegliere. Raggiungo Alberto in corridoio. «Che sfuriata!» mi dice, dandomi una pacca amichevole sulla spalla. «Non so chi scegliere tra Diana e Beatrice». Il mio amico di sempre sorride, dicendomi: «Oh, ma me ne lascerai qualcuna?». Ridendo, fa ridere anche me. Saliamo in macchina e senza pensarci mando un messaggio a Diana: «Non so se mi piaci, ma di sicuro ti voglio bene». Blocco il cellulare e mi addormento, grazie all’aiuto del suono del motore: è stata una giornata densa di emozioni.

Arriviamo a casa: mamma mi sveglia e mi invita a salire con Alberto, mentre lei cerca parcheggio. Appena aperta la porta di casa, ci fiondiamo in camera mia per decidere cosa mettere per l’uscita con Beatrice, qui si gioca tutto: devo capire chi tra lei e Diana fa per me. Mentre sto scegliendo i pantaloni, mi arriva un messaggio di Beatrice: «Scusa, Tommy, ma oggi pomeriggio sono incasinata: ci vediamo domani pomeriggio?! In classe ti dico dove. Un bacio, non vedo l’ora di vederti!». Mi sento sollevato: non me la sentivo di uscire con lei, dopo aver scoperto da pochissimo di piacere alla mia amica più cara.

Guardo Alberto e glielo riferisco: vedo una luce di felicità nei suoi occhi. Poi diventa improvvisamente serio: forse per supportarmi in questo momento, perché in fondo mi ha dato buca. Siamo entrambi contenti di avere un pomeriggio per noi, senza problemi, ma non ce lo diciamo apertamente: è il bello di saper interpretare gli atteggiamenti, non servono parole superflue. «Allora… giochiamo alla Play?» mi chiede Alberto, come se mi stesse offrendo un’alternativa al “dolore” di un rifiuto. «Sì, vado ad accenderla!» dico io, facendo finta che di opzioni ce ne fossero altre, mentre mi avvio verso la sala. Sono un po’ in ansia per domani: non vedo l’ora di poter scoprire chi sarà meglio per me.






mercoledì 24 marzo 2021

Il coraggio di scegliere - cap. 6: Il ronzio di un alveare

La classe ronza intorno al protagonista e anche Tommaso si lascia coinvolgere dalle frecciatine reciproche che fanno male come le punture di un'ape. Forse serve riflettere un po' per trovare qualche goccia di miele in mezzo alle ferite quotidiane. 




Entro in classe, ma non ho voglia di chiacchierare con nessuno. Mi siedo al mio banco e scrivo, valanghe di pensieri. Un fiume in piena di parole: ho paura che tra poco strariperà, rovinando le coltivazioni ed i raccolti. Alberto lo ha percepito, è per questo che questa mattina non ha parlato. Ha capito che il “suo raccolto” era in pericolo: quando sono in questo stato, potrei ferire tutti per poi sentirmi in colpa per settimane.

Purtroppo, non tutti sono a conoscenza del mio fiume in piena e ieri è stata una giornata da dimenticare. Olivia si avvicina e io prevedo già problemi, chiudo di scatto il mio quaderno e cerco di calmarmi in anticipo. «Tommaso, nel tuo tempo libero fa’ un piacere all’umanità: al posto che rivelare segreti sui social, scrivi degli articoli vagamente interessanti. Può aiutarti» dice, mentre mi sorride come una vipera. Il dolore trasforma le persone: le rende aggressive e a volte persino insolenti. «Ciao, Olivia, mi dispiace: mi hanno hackerato il profilo. Bea non te l’ha detto?» le chiedo, cercando di sorridere, anche se sono sicuro che dall’esterno sembrerà solamente una smorfia. «Allora, due cose voglio dirti. La prima: Bea non mi ha detto proprio nulla e noi ci diciamo tutto. La seconda: non ti azzardare a chiamare la mia migliore amica con il suo diminutivo! Dopo la storia di ieri, non lo vedi nemmeno il nostro livello» mi dice Olivia, guardandomi con aria superba e aggiustandosi i suoi lunghi boccoli gialli sulla spalla destra.

Non riesco più a trattenermi. Ce l’ho messa tutta, ma ora sento la testa ronzare, la mia lingua si sta affilando e il cervello si sta rabbuiando. Mi metterò nei guai con quello che dirò, lo so già. Ma la voglia di controbattere è così tanta! Inoltre lei mi sta guardando con uno sguardo altezzoso, compiaciuta del mio silenzio, e si appresta a tornare da dove è arrivata. «Olivia!» tuono, e lei quasi si spaventa, mentre tutta la classe si gira «Non avevo finito di parlare con te! Avvicinati: non vorrai che tutta la classe ascolti cosa ho da dirti». Noto che tutti mi guardano come se avessi una malattia infettiva, lo mostrano anche fisicamente, perché si allontanano come se non fossero già abbastanza distanti. Tutti si congelano e una voce rompe il silenzio. «Olivia, hai intenzione di portare avanti la tua pantomima? Questa è una questione tra te e lui: hai intenzione di utilizzare la classe con il suo atteggiamento per farlo desistere? Non lo conosci affatto: se non vuoi essere umiliata, va’ da lui!» dice Alberto, rivolgendosi ad Olivia. Olivia si avvicina piano piano, ma tutta la classe rimane in silenzio: vuole ascoltare. «Voi altri non avete nulla di cui parlare? Guardate che chi svela i segreti e chi non si fa i fatti propri vanno a braccetto!» tuona Diana alle mie spalle. Non l’avevo sentita arrivare: mi sento al sicuro con i miei due amici.

Poi però mi ricordo delle parole di Beatrice, mentre tutta la classe torna a fare la baraonda di prima ed io proseguo: «Ieri la tua migliore amica è stata da me. Mi ha detto lei stessa che era un hacker». Modero il linguaggio, mentre la mia lingua continua ad affilarsi e la mia mente si rabbuia sempre di più: «Se avete problemi di comunicazione nell’ultimo periodo, non è affar mio. Ma non ti permetto di venire qui e trattarmi con quella boria di cui ti sei pitturata gli occhi questa mattina. Tu hai i tuoi problemi, ma io ho i miei. Non ti nascondere dietro le tue sofferenze, prendendoti il diritto di schiacciare chi all’apparenza ti sembra più debole!». Il mio cervello ronza, il mio sguardo è gelido e mordo piano la mia lingua con gli incisivi. Esercito una pressione sulla mia lingua per fermarmi, non voglio incidere oltre. Lei ha giocato a freccette con il mio punto debole ed io ho risposto, non riuscendo a stare zitto come al solito. Mi sono già messo abbastanza nei guai: non servirebbe a nulla distruggerla. Fortunatamente in quel momento suona la campanella ed entra la professoressa di francese.

Apro il libro, ma inizio a sentirmi male per ciò che ho detto. “Ma come, la gente non si fa remore a ferirti, mentre tu ora sei qui come un pappamolle a piangerti addosso” penso, mentre completo il primo esercizio. Il problema è che mi sono abbassato al loro livello. Vedo Diana che scrive un bigliettino, vado in panico perché oggi la mia fiducia verso di lei tocca i minimi storici. Nonostante ciò, non voglio ferirla. Mi accorgo che per me, comunque stiano le cose, è una persona molto preziosa. Mi passa il bigliettino, controllando che la prof. non ci guardi. «Tommy, non ti arrovellare tra i sensi di colpa. Troveremo quell’hacker insieme. Alberto mi ha scritto stamattina e mi ha raccontato della visita di ieri…» leggo, mentre mi chiedo perché Alberto debba aver fatto una cosa del genere: è proprio Diana la principale indiziata in questo momento. Forse lui ha visto di più, è cresciuto tanto ultimamente e l’intervento di prima me lo ha dimostrato. Metto un momento il bigliettino sotto l’astuccio, leggo il testo sulla torre Eiffel e rispondo alle domande a crocette. Finiti gli esercizi assegnati dalla prof., che al momento è sulla cattedra e sta firmando il registro, tiro fuori il bigliettino e scrivo: «Perché sul tuo profilo non sono stati svelati segreti e non ti hanno insultata?». Alberto può anche non essere d’accordo, ma io continuo sulla mia pista. Le passo il bigliettino e aspetto con ansia la risposta. Diana lo legge, ma lo mette via: la prof. ha iniziato a girare tra i banchi. Ha un tempismo perfetto quella donna!

Mi giro e vedo Martina piangere in silenzio: non l’ho mai vista così. La prof. le passa di fianco, ma non la nota: quante volte non l’abbiamo notata? La sua tecnica è perfetta: sguardo chino sul libro, nessun singhiozzo, ma solo qualche lacrima traditrice, che si appresta a pulire rapidamente. «Tommaso, che guardi?» mi chiede la prof. piano, per non disturbare gli altri. Io sono indeciso se dirglielo o meno, poi mi faccio coraggio. «Prof., credo che Martina abbia bisogno del bagno» le dico sottovoce. Lei la guarda, si accorge e si ferma a pensare. «Conosci qualcuno che ha confidenza con lei? Non posso spedirla in bagno ed esporla in questo modo» mi dice lei con uno sguardo quasi materno e compassionevole. «Diana, la mia compagna di banco: sono amiche» le sussurro. «Diana, non vorrei disturbarti, ma porteresti Martina in bagno?» chiede delicatamente la prof.. A volte mi stupisco dell’intelligenza di quella ragazza: guarda la prof. negli occhi e guarda Martina, capendo la situazione al volo. «Sì, certo, prof.» le dice piano, mentre si alza senza fare rumore. La classe è intenta nello scrivere, scarabocchiare e spettegolare sottovoce su di me. Nessuno si sta accorgendo di Diana che gira tra i banchi per arrivare a Martina: la prof. si è seduta vicino a me silenziosamente. Se una sola persona è in piedi e tutti sono concentrati, non si vede molto la differenza. Diana si avvicina e sussurra qualcosa a Martina: quest’ultima si ricompone e si alza, senza produrre suoni. Il tempo che la classe si renda conto che è successo qualcosa e sono già fuori dalla porta. La prof. è in piedi nell’angolo della classe, pronta a intervenire nel caso in cui la classe inizi a parlare e a creare più vocio del necessario. Con uno sguardo rasserena i miei compagni e li invita a continuare a lavorare. Sembrava una missione da 007: grazie anche Martina e alla sua capacità di controllarsi, nessuno ha capito nulla. Una sola persona continua a scrivere come se nulla fosse: Beatrice. Mi piace il modo in cui appare concentrata: era così concentrata da non essersi accorta di quello che accadeva intorno a lei. Il ronzio di quattro api non ha svegliato la regina.

La porta si apre e mi risveglio dai miei pensieri: quanto è passato? Dieci minuti o venti? Ero così perso nei miei pensieri, che non me ne sono reso conto. «Prof., ecco la pinzatrice per le schede. Gliela appoggio sulla cattedra!» dice Martina sorridente, appoggiandola. Diana fa miracoli: la pinzatrice era nel piano? «Una botta di fortuna» mi dice Diana, facendomi l’occhiolino «tornando dal bagno, abbiamo incontrato Margherita. La prof. le aveva chiesto di portargliela». Margherita fa parte del personale ATA sul nostro piano, è simpatica e molto empatica. Non entra mai in classe se non necessario, lascia fare a noi alunni e ci ascolta come se fosse una psicologa, quando ci sentiamo sotto pressione o una verifica è troppo difficile. La professoressa inizia a pinzare le schede e a distribuirle. Il resto dell’ora passa veloce, la campanella suona, lasciandoci delusi: avremmo voluto che quell’ora durasse di più.

La classe torna a chiacchierare: le voci e le risate dei miei compagni coprono la suoneria del mio cellulare. Scatto, leggo il messaggio e spengo. «Numero sconosciuto: Non basterà avere degli amici dalla tua parte per farti voler bene dalla classe. Insomma, è colpa tua se non ti vogliono più. Cosa vai a scrivere? Ti trovo patetico, se pensi di sfuggirmi così. Io sono sempre tre passi avanti a te: come faccio? Sono vicinissimo a te e ad ogni tuo movimento!». Guardo d’istinto Diana: ha la testa appoggiata sul banco e ha gli occhi chiusi, sta dormendo. Sono sicuro perché, quando entra il prof., continua a dormire, non accorgendosene. Sfrutto il fatto che l’insegnante si trattenga sulla porta a parlare con la professoressa di francese per frugarle nello zaino: un solo cellulare, il suo! Lo smonto e guardo la scheda SIM contenuta: 374 358 9540. Confronto con il numero che ho in memoria: coincide perfettamente! Mi sento in colpa per aver dubitato di lei. Le accarezzo la spalla e le dico: «Bella addormentata, è arrivato il professore di scienze motorie». Lei non mi sente, deve essere molto stanca. «Diana, è arrivato il prof.: ti prego, svegliati, non voglio che tu prenda una nota!» le dico, mentre le tocco la spalla, smuovendola un pochino. Lei a quel punto apre gli occhi e mi sorride debolmente. «Grazie, Tommy» mi dice, portandosi la mano alla bocca per coprire il suo sbadiglio: «Per la tua domanda di prima, visto che ora c’è tempo… Mi è arrivato un insulto e ha anche scritto il mio grande segreto, ma è stato cancellato tutto, dopo al massimo cinque minuti». Accende il cellulare e mi fa vedere gli screen: «Ti sei interessata ad un ragazzo che non ti vuole, gli stai vicina come amica, solo perché non hai alternative. Sei una perdente, dopo tutto!» e poi un altro che diceva «Perdi tempo a metterti lo smalto e a darti il mascara: copriti le lentiggini, magari così ti accetteranno. Ma credo che nemmeno questo basti!». «Non ho dormito tutta la notte» mi confessa lei, trattenendo le lacrime.

Dopo scienze motorie, tornando a casa, spiego ad Alberto cos’è successo durante l’ora di francese e mi ricordo degli occhi pieni di lacrime di Diana. Tra poche ore ci rivedremo, ma cresce in me la consapevolezza che la mia classe sia come un alveare. Ognuno quando si muove fa rumore, a parte chi soffre. Chi prova dolore è capace di andare e venire in silenzio, per non disturbare. Lo riesce a fare, perché sa quanto male fa se il predatore percepisce lo spostamento d’aria o sente il suo rumore.





sabato 20 marzo 2021

Il coraggio di scegliere - cap. 5: L'occhio del ciclone

Come affrontare le conseguenze di una giornata terribile, quando tutto sembra esserti contro? Forse l'unica risposta è l'amicizia. Il nostro protagonista sta formulando ipotesi per scoprire il responsabile, ma un incontro inaspettato sembra rimettere tutto in gioco. Cosa accadrà?





Arrivato a casa, mi butto sul letto e guardo Alberto che si butta sul suo. Lo vedo molto triste e la cosa che mi fa sentire peggio è che non posso aiutarlo. Decido di cambiare la password, prima di ulteriori danni. Successivamente cancello i commenti poco carini che il mio hacker ha “gentilmente” regalato ai miei amici e conoscenti. La situazione è abbastanza drammatica, perché attraverso il mio profilo sono stati rivelati un sacco di segreti. Leggendo quelle poche righe per persona, ho notato che, per sapere tutte quelle cose, deve essere qualcuno di molto influente.

Sinceramente non avrei mai pensato che Olivia, la ragazza dell’ultimo banco, a causa dell’infortunio al braccio sarebbe tornata a giocare a tennis tra un bel po’ di tempo. In effetti avevo notato che era più stanca in classe: la riabilitazione deve essere molto impegnativa per lei. E quando scrive a volte piange per il male. I suoi genitori hanno deciso di farla allenare comunque qualche volta, nonostante sia fragile, e questo intacca il suo rendimento scolastico. Tutti, persino il mio hacker si è accanito contro di lei, dandole della fannullona. La verità è che lei fa tanto, forse troppo, per accontentare tutti. Tutti tranne se stessa.

Mi ha colpito anche la storia di Marco. Viene obbligato dai suoi a studiare per avere voti molto alti. Quando arriva la pagella, i genitori la incorniciano e la mettono in salotto, così, quando amici e parenti vanno a trovarli, possono ammirare che figlio in gamba hanno. Marco però è solo, senza amici, perché investe tutte le sue forze nello studio. A scuola è scontroso, ma immagino che sia difficile per lui avere tutte quelle aspettative sulle spalle e doverle realizzare. Penso..., mentre cancello il commento “Quattrocchi, solo sei e solo resterai”.

Poi arrivo sul profilo di Gabriele: come immaginavo è sempre stato innamorato di Martina. Nemmeno l’essere destinato ad una classe diversa ha spento il suo interesse. Giacomo, Diego e Raffaele, invece, sono i ragazzi più importanti della squadra di basket del mio anno. Nemmeno loro sono stati risparmiati: la mia reputazione ne risentirà di parecchio. Sono accusati di aver stilato una lista delle ragazze più carine della scuola. I loro profili, dopo il commento dell’hacker, erano intasati di ragazze indignate per il comportamento di quei Golden Boys smascherati. Mi picchieranno, sono sicuro.

Ho finito di eliminare e leggere i commenti. Il repertorio del mio aguzzino è sicuramente molto più ampio rispetto a quello del quaderno di Martina. Mi giro verso Alberto che ormai si è addormentato, guardo l’orologio e noto che sono le 15:30. Lo lascio dormire, mentre studio un po’ di matematica: meglio che la capisca prima di domani, altrimenti non potrò aiutare il mio amico dormiglione. Verso le 16:30 si sveglia, allora decidiamo di fare merenda velocemente e di rimetterci a fare degli esercizi di matematica. Nessuno dei due parla: studiare ci sta aiutando a lasciare da parte i pensieri negativi e a focalizzarci sugli esercizi. Per quanti tu ne faccia però, al momento in cui li finisci, hai mal di testa. Sei in trappola.

Guardo l’orologio: sono le 18:30. «Alberto, ti va di chiudere i quaderni per oggi? Siamo stati bravi» chiedo, sperando sia d’accordo con me. «Tommy, mi dispiace per prima» dice lui, serio «il commento era delle 11:15, il tuo cellulare era sulla cattedra del professore. Sapevo per certo che non eri stato tu, ma è stato comunque più facile prendermela con te, piuttosto che con qualcuno che non so nemmeno che faccia abbia». Evidentemente la matematica fa miracoli, le rotelle girano e imparano a girare anche al di fuori dei suoi confini: anche con me ha funzionato. «Lo so, Alberto, lo avevo capito…» abbozzo, sorridendogli. «A quante persone hai detto dei tuoi?» gli chiedo. Lui ci pensa un po’. «A te, a Diana…» dice, mentre si massaggia la tempia sinistra «…Martina abita vicino a me, è probabile che lo sappia». Rabbrividisco.

Suona il citofono e mi impanico, perché non so chi sia. Anche Alberto sembra preoccupato: la nostra giornata sembrava aver avuto abbastanza sorprese. Mia mamma va a rispondere e la vedo perplessa. «Tesoro, è una tua amica» dice lei disorientata. «Diana? Va bene, lasciala salire. Ma che ragazza strana, si presenta all’ora di cena?» dico io imbarazzato, guardando Alberto che era intento a captare i segnali di mia mamma. «No, Tommy, dice di chiamarsi Beatrice» e non appena finisce la frase, divento super contento. «Sì, mamma, è mia amica: lasciale entrare» dico con un sorriso da ebete. «Tommy, vado a nascondermi in camera tua: se hai bisogno, scrivimi un messaggio. Buona fortuna!» mi dice Alberto, mentre mi fa un occhiolino.

Beatrice entra in casa, accolta da mia mamma. «Piacere, signora, sono Beatrice» dice con voce angelica ed educata. Mia mamma, impressionata, risponde presentandosi, ma io non la sento: sono già a tre metri da terra. La guardo e mi alzo dalla sedia del tavolo da pranzo per accoglierla. «Ciao, Beatrice! Che sorpresa» le dico sorridente, ma molto imbarazzato. Mi sarei improfumato e sistemato i capelli meglio, se solo lo avessi saputo. Con un gesto la invito a sedersi e lei sistema il suo giubbotto da mezza stagione sulla sedia prima di sedersi. Mia mamma la guarda estasiata, la classica figlia modello: bella, educata e dai modi fini. Credo che se in questo momento avesse la possibilità di scambiarmi con lei, lo farebbe senza battere ciglio. «Tommy, volevo vedere come stessi dopo la giornata di oggi…» mi dice lei, guardandomi con i suoi occhi azzurri. Noto che mia mamma torna nel suo studio, lasciando la porta aperta. «Sto bene, grazie, anche se sono un po’ spaventato, perché non so chi sia stato» le rispondo, abbassando il volume della voce, mentre pronuncio la seconda parte della frase. «Comprendo che non sia facile: sono venuta qui prima che ho potuto, perché per me sei una persona importante. Il tuo hacker ha insultato anche me, hai visto?» continua lei dispiaciuta «e ha insultato anche tutti i miei amici». Tiene un volume della voce basso, ma soave e sembra molto triste. «Ho visto che anche Olivia, Raffaele, Diego e Giacomo ne hanno risentito. Mi dispiace molto…» replico, sperando che sia un po’ meno triste. «Non ti devi scusare tu. Sono qui per trovare l’hacker» mi dice lei, abbozzando un sorriso. Io la osservo estasiato, mentre pendo dalle sue labbra. «Hai notato che Diana non è stata insultata?» mi chiede Beatrice, risvegliandomi. «Sì, l’ho notato…» dico lentamente. Beatrice mi interrompe, facendo una nuova domanda: «E hai notato anche che l’orario dei commenti coincide con l’intervallo di tempo in cui il tuo cellulare è stato sulla cattedra del prof.?». «Sì, ma Diana non ha mai toccato il mio cellulare» dico io, mentre rifletto, ma Beatrice incalza: «Non deve aver preso il tuo cellulare, ma deve essere stata abbastanza vicina da vedere le tue password». Sono al settimo cielo, ma allo stesso tempo sono turbato. Ci alziamo dalla sedia, mentre lei mi dice: «Tommy, ora devo andare: venerdì ci troviamo per l’articolo del giornale!». Beatrice alza leggermente la voce, per riabbassarla subito dopo: «Sei un ragazzo molto intelligente: mi piace l’idea di uscire con te» frase da pelle d’oca, mentre mi fa l’occhiolino. «Ciao, Beatrice: ci vediamo domani a scuola!» la saluto, mentre sono in brodo di giuggiole. «Chiamami Bea» dice, stampandomi un bacio sulla guancia. Apro la porta, lasciandola uscire: la osservo prendere l’ascensore e la saluto non appena entra. Un viso bellissimo e dei modi di fare così soavi: credo di aver perso la testa. Chiudo la porta e mi avvio in camera, buttando lo sguardo nello studio di mia mamma: sembra molto concentrata sul lavoro, non la disturbo.

Vado da Alberto e inizio a raccontare tutto ciò che ci eravamo detti. Lui è perplesso: «Diana non mi sembra la soluzione: è nostra amica e di sicuro c’è da più tempo di Beatrice». Effettivamente non so più nemmeno io cosa pensare. «Dobbiamo tenerla d’occhio, d’altra parte tutti gli indizi portano a lei» affermo amareggiato, mentre mi avvio verso la cucina per aiutare la mamma a preparare la cena. Papà rientra tardi ogni sera, ma vedere la tavola apparecchiata e me e mia mamma in cucina lo mette sempre di buon umore, nonostante la stanchezza. Oggi ha trovato anche Alberto ed è ancora più felice.

Dopo la cena decidiamo di non parlare, giochiamo un po’ e poi andiamo a letto. Domani è un altro giorno e spero che sarà decisamente migliore rispetto a quello appena trascorso.

Suona la sveglia: non ho voglia di alzarmi e mi copro le orecchie con il cuscino. Alberto si alza, la riprogramma tra dieci minuti e intanto va a prepararsi. Torna dopo meno di dieci minuti a rifarsi il letto, aspettando che la sveglia suoni nuovamente. Prende i libri dalla scrivania e controlla che in entrambe le cartelle ci sia tutto, portandole vicino alla porta. Lo percepisco stranamente reattivo: quelle cose le abbiamo sempre fatte insieme. Sono un ragazzo preciso: quelle operazioni le faccio io ogni mattina ad un orario specifico. Oggi però non ho voglia, non riesco ad alzarmi, perché il sonno mi tiene incatenato al letto. Alberto, invece, mi aiuta per non farmi fare tardi, regalandomi dei minuti e portando a termine ciò che faccio io solitamente. Ho fatto bene a non escluderlo dalla mia vita: mi vuole molto bene, come se fossimo fratelli.

Mi alzo e faccio tutto per inerzia: mi sveglio solamente quando sono in macchina. Mi torna in mente la visita di Beatrice del giorno prima, sorrido e mi ricordo che devo essere prudente con Diana. Io a Diana voglio bene e mi darebbe molto fastidio se fosse davvero lei, così mi ritrovo a sperare con tutto me stesso che sia solo una casualità il fatto che tutti gli indizi portino a lei. Scendo dalla macchina e saluto la mamma. Oggi un’altra battaglia aspetta me e Alberto: spero vivamente che questa volta questo edificio enorme possa trasformarsi, per me e per le persone a cui tengo, in un luogo sicuro.


giovedì 18 marzo 2021

Un messaggio per tutti i papà: la riflessione di Sara

La nostra amica Sara Caimi ha realizzato un video per farci riflettere sul significato della festa del papà e su cosa significa avere un padre: in una società sempre più individualistica ricordarci delle relazioni e saper ringraziare è un modo per imparare a crescere e comprendere meglio cosa significa essere figli. 




lunedì 15 marzo 2021

Il coraggio di scegliere - cap. 4: Mimetizzati!

Il giornalino della scuola riserva una sorpresa al nostro protagonista e intanto si prospetta per lui un primo vero appuntamento con una compagna, ma l'identità anonima che continua a tormentarlo si inventa nuovi mezzucci tipici di un cyberbullo. Come farà Tommaso a cavarsela? Scopriamolo nella quarta puntata del nostro giallo, "Il coraggio di scegliere". 




Stasera abbiamo salutato Diana impauriti, mi infilo il mio pigiama e mi chiedo quale sarà la mia prossima mossa. Che abbia capito che frequento ancora Alberto? Intanto che aspetto il mio turno in bagno, riguardo il messaggio. Sono una statua di sale: il messaggio mi ha messo molta paura. Mentre Alberto esce dal bagno, mi chiedo come farò a proteggerci domani. Lavo i denti e mi butto nel letto, rimando il pensiero e cado tra le braccia di Morfeo.

La sveglia suona: quasi non mi ricordo che Alberto è nel letto vicino al mio e manca poco che gli cammini sopra. «Alzati dai, dobbiamo andare!» gli dico, mentre mi dirigo verso l’armadio. «Ancora cinque minuti» mi dice Alberto con la voce impastata di sonno. Mi spazientisco un po’ e allora gli dico: «Non farti pregare, dobbiamo sviluppare il piano per oggi» e gli lancio i vestiti che ho scelto per lui.

In cucina, mia mamma ci porge le nostre tazze piene di latte, sorridendo. Alberto si gusta la colazione, ma si vede che è preoccupato ed è la prima volta. Appena mia mamma va a truccarsi, Alberto mi guarda e dice: «Facciamo finta che non ci parliamo, tieni la reputazione, altrimenti nessuno ti leggerà. Ti metteranno in ultima pagina, sarebbe un peccato!». Rimango scioccato e non so che rispondere. Ho una via di fuga, però è fittizia, ormai è troppo tardi anche per scappare, e farlo sarebbe da codardi. Guardo il mio amico e con voce ferma rispondo: «Ormai ho deciso di stare dalla tua parte, quello che succederà lo affronterò poco alla volta». Lui mi guarda sorpreso e leggermente sollevato. Gli ho appena dato la prova di essere il solito Tommaso di sempre.

Saliamo in macchina, mia mamma oggi ha fretta, ma non ha voluto lasciarci andare a scuola in autobus. Dice che era da molto che non andavamo a scuola insieme e non voleva perdersi il momento. Mentre sono accoccolato sul sedile posteriore ad ascoltare la musica, mi suona il cellulare. Non ho voglia di controllare chi sia, quindi lo tengo in tasca, ma vedo Alberto guardarmi preoccupato dallo specchietto retrovisore: gli lancio uno sguardo interrogativo e sento che il mio cellulare suona di nuovo. Anche questa volta non guardo e mi concentro sulla musica per distrarmi. Dopo circa cinque minuti, suona un cellulare, ma non è il mio e quasi sono sereno. Alberto mi guarda in panico, ma sta in silenzio mentre mia mamma guida e canticchia. Credo di aver capito chi sia il mittente, ma non ho nessuna intenzione di guardare ora: porto avanti la pantomima per mia mamma, perché non voglio che si preoccupi e Alberto fa lo stesso.

Finalmente arriviamo davanti a scuola, scendiamo dalla macchina e salutiamo mia mamma con un sorriso che muore non appena gira l’angolo. Sblocco il cellulare: «2 Nuovi Messaggi da Numero Sconosciuto». Clicco sulla notifica titubante: non ho molta voglia di leggere. «Numero Sconosciuto: Tieni d’occhio il cellulare oggi: se non fai ciò che dico, potresti essere il prossimo Gabriele». Inizio a temere per la mia salute fisica: «Numero sconosciuto: Iniziamo male, picchiarti sarebbe da codardi, perché non è il tuo campo. Credo userò le parole: vediamo cosa dirà il tuo pubblico!». Dal male fisico al male psicologico. Alberto finisce di leggere il suo messaggio e mi porge il cellulare: «Numero Sconosciuto: Alberto, stai attento ai tuoi amici, perché non sempre sono veri». Ci guardiamo ed entriamo, pronti per la battaglia di oggi. La scuola ha le finestre aperte come occhi, ci guarda ma non fa nulla, come se se ne fregasse del fatto che la abitiamo e che lei, per noi, dovrebbe essere un luogo sicuro.

Entro in classe e vedo Beatrice: che boccata d’aria fresca. Sembra quasi che tutte le mie preoccupazioni spariscano. Alberto, che era entrato con me, mi dice: «Sono giorni che vedo come la guardi, vai a chiederle di uscire…». Divento rosso e tutta la classe si ferma, guardandoci perplessa. La coppia storica di amici è tornata ed è una cosa assolutamente pericolosa. Gli altri il pericolo non lo percepiscono, io invece sento il suo odore acre ovunque vada. Senza pensarci decido di approfittare che i giocatori della squadra di basket vicino a Beatrice abbiano smesso di riempire lei e le sue amiche di chiacchiere per avvicinarmi. «Beatrice, possiamo parlare un momento?» le chiedo un po’ emozionato. «Certamente» dice Beatrice, mentre si alza e mi segue in un angolo dove il resto della classe fa a fatica a sentirci. «Mi chiedevo se volessi uscire con me» le chiedo un po’ impacciato e la vedo sorpresa. «Mi piacerebbe, Tommy: mi sembri un ragazzo interessante» mi dice lei con un sorriso magnifico «Facciamo da me venerdì per le 15:00?». Non ci credo: mi sembra un sogno e non vorrei svegliarmi e riesco a pronunciare appena un: «Certo, va bene, ci vediamo dopodomani!», cercando ovviamente di darmi un contegno in modo da sembrare un ragazzo figo oltre che interessante, soprattutto perché c’è la classe che ci guarda. Ci allontaniamo piano piano ed un particolare mi fa tornare alla realtà.

Diana era seduta al nostro banco che mi guardava spaesata: mi avvicino e sistemo la cartella. «Buongiorno, Diana. Sei libera domani?»: le chiedo di vederci, perché abbiamo bisogno di definire come muoverci, ma oggi pomeriggio voglio giocare alla PlayStation con Alberto. Mi giro a guardarla e lei guarda altrove con sguardo assente: le sarà arrivato un nuovo messaggio. «Non lo so, dovremmo anche studiare. Se facciamo matematica insieme va bene, altrimenti me ne sto a casa!» mi risponde in modo aggressivo. «Oggi mi sono arrivati due messaggi: mi dicevano di stare attento e tenere il cellulare vicino. Quindi non l’ho spento» le dico, sperando mi possa supportare. «Ma sei pazzo?! Se ti becca la prof., ti ritira il cellulare ed è peggio. Anche a me è arrivato un messaggio, consiglia di stare attenta ai miei amici, perché non si sa quali lo siano davvero» dice, guardandomi storto. «È lo stesso che è arrivato ad Alberto» le dico senza pensarci. «Speriamo non ci entri tu ora al centro del ciclone, dopo Gabriele» dice, mentre la prof. di italiano entra in classe.

Finalmente il momento che aspettavo: l’annuncio di coloro che faranno parte del giornale! La professoressa appoggia le cose sulla cattedra e prende in mano i nostri temi da cui tira fuori un fogliettino su cui ha preso alcuni appunti. «I temi migliori sono stati quelli di due di voi» inizia a dire: ho il cuore in gola. «Questi due allievi hanno l’accesso diretto, mentre gli altri tre che nominerò dopo saranno il loro team. Mi raccomando: fate fare bella figura ai vostri colleghi!» fa una breve pausa e poi riprende: «No dai, iniziamo dal team. Allora: Martina, Marco e Beatrice» mi sento male, nessuno scrive meglio di Marco, il secchione della classe… sono spacciato. «Mentre i temi migliori sono di Diana…» eccoci, meglio scrivere alla mamma di prepararmi una torta al cioccolato «…e Tommaso!» dice la prof sorridente. Io sono incredulo e guardo Diana, come se ci avessero appena detto di aver vinto il premio Strega. Vedo un velo di felicità nei suoi occhi: mi chiedo se sia per il fatto che è stata la migliore o perché vorrebbe davvero farne parte. Sarebbe bello poter collaborare con una ragazza così intelligente. Lei non mi guarda, guarda la prof.. Io rifletto sugli avvenimenti e guardo le reazioni della classe. Per quest’anno sono riuscito ad entrare nel giornale: spero di riuscirci anche il prossimo. «Tommaso, hai capito? Finito le lezioni vi fermerete un momento in più per discutere del primo articolo: una cosa da dieci minuti» mi dice la prof. sorridendo ed in modo gentile. «Sì, prof, va bene» le rispondo imbarazzato.

La giornata sta passando velocemente, non mi sono ancora arrivati messaggi e non è successo ancora nulla di scomodo. Sono nel cambio d’ora e scrivo sul mio quaderno delle ispirazioni, quando la mia cartella vibra. Prima che la prof. entri, guardo le notifiche: «Numero Sconosciuto: Mandami le foto di ciò che stai scrivendo!» leggo impietrito. Ma stiamo scherzando? Le mie cose non le mando a nessuno, mica che poi mi copiano! Vorrei spegnere il cellulare, ma non voglio far pensare di non voler collaborare: sarebbe la fine. Quindi rispondo al messaggio con un: «Io: Il mio quaderno no, sono solo scarabocchi. Se mi mandi la tematica che ti serve, posso mandarti due o tre idee per scrivere un tema». Penso di essermi salvato ed invece mi arriva un altro messaggio: «Nuovo Messaggio: Non mi basta. Stai attento!». Butto il cellulare in cartella: non ho nessuna intenzione di dare i miei pensieri più belli ad una persona che non ha voglia di impegnarsi e forse nemmeno un briciolo di intelletto.

Entra il prof. di scienze ed il mio zaino inizia a vibrare. «Sono fregato» penso, mentre senza farmi notare spengo la chiamata: «Chiamata in entrata da Numero Sconosciuto». Per fortuna la baraonda che nel frattempo la mia classe stava facendo ha coperto il telefono. Metto il silenzioso, Diana mi guarda con una faccia come a volermi dire «Te lo avevo detto!» e io le accenno un mezzo sorriso imbarazzato. Un po’ come fai con tua mamma, quando ha ragione, ma non vuoi pronunciare quelle parole per non ammetterlo. Il professore si siede alla cattedra ed inizia a firmare il registro e a fare l’appello. In quel momento entra Martina con in mano la giustifica del ritardo: non mi ero accorto che mancasse… Ho vissuto nel mio mondo fino a questo momento. Ha una faccia distrutta ed un’aria molto triste, ma non saprei definire il motivo: purtroppo non posso leggere nel pensiero alle persone. Mi giro verso Diana e le chiedo sottovoce: «Sai che cos’ha?». Diana mi risponde allargando le braccia: «Non ne ho idea, è la prima volta che la vedo così». «Tommaso, Diana… la smettete di parlare? Anche se non sento cosa dite, vi trovo fastidiosi» dice il professore avvicinandosi. Io inizio a sentirmi male: non sono mai stato ripreso così tante volte come oggi. «Anzi potreste rendere partecipe tutta la classe» dice lui, facendo una smorfia e avvicinandosi sempre di più al nostro banco. «Niente, prof., stavamo discutendo sul primo articolo per il giornale» mento spudoratamente. Vedo che però la sua attenzione non si focalizza sulla mia faccia che ha scritto in fronte «HO MENTITO!!» a caratteri cubitali, bensì sul mio zaino che si stava illuminando. Sto sudando freddo, Diana lo nota e mi sfiora la mano, senza tuttavia afferrarmela: ho un brivido. «Ricomponiti!» mi arriva un sussurro appena percettibile, mi giro verso la mia compagna di banco e lei mi sorride. Il professore estrae il mio cellulare e legge ad alta voce: «Chiamata in entrata da Numero Sconosciuto». Tutta la classe gela all’istante. «Queste pubblicità, chiamano sempre nei momenti meno opportuni» dice il prof. ridendo. «Questo lo requisisco: le sai le regole» mi dice fermo e poi aggiunge: «Vieni da me al cambio d’ora».

Fatico a stare attento alla lezione, tutta la classe fa fatica. All’improvviso suona la campanella e mi sembra un coltello che taglia l’atmosfera ormai tesissima. Vado dal professore, sperando vivamente che non chiami i miei. «Tommaso, sei un ragazzino rispettoso e ligio alle regole. Com’è successo?» mi chiede amareggiato, ma con fare quasi paterno. «Non lo so, prof., mi sono dimenticato… ero teso per le nomine del giornale» improvviso. «Sono tappe importanti, ma non perdere il focus. Questo è l’inizio di una nuova avventura, non la meta» dice, facendomi l’occhiolino. «Hai potenziale: sfruttalo! Se hai bisogno di qualsiasi cosa, dimmelo» mi dice in modo tranquillo ma fermo, come se nei miei atteggiamenti avesse letto molto di più. «Grazie, prof., buon pomeriggio allora» mi allontano, mentre lui mi saluta con la mano.

Arrivo tardi alla prima riunione, cavolo! Dieci minuti per dirci di pensare al primo articolo e di scrivere una mail al responsabile del giornale della scuola entro lunedì. Il responsabile è uno spocchioso di terza che crede di essere arrivato, solo perché è tra i più grandi della scuola. Però sotto sotto... mi piacerebbe essere come lui in futuro: sembra sicuro e determinato. Per tre anni ha fatto parte di questo giornale. La spocchia deriva dal fatto che ci vede come pivelli, non importa se abbiamo un solo anno o due anni di differenza: per lui siamo piccoli. Vedo i capelli di Beatrice in lontananza e mi perdo, non ascolto più. Mi risveglio quando il preside dice «Bene, abbiamo concluso. Ci vediamo venerdì prossimo in redazione» e ci saluta tutti. «Meno male che non è questo di venerdì» penso «altrimenti avrei dovuto annullare con Beatrice».

Raggiungo Alberto in macchina da mia madre. Entro e mia madre mi dice: «Alberto non è ancora arrivato, credevo fosse con te», panico. Esco dalla macchina e corro in classe, ma non c’è. In cortile, non c’è. Vado in bagno e lo trovo raggomitolato in un angolo che piange e, vedendomi arrivare, mi dice: «Come hai potuto?!». Rimango fermo come una statua di sale. Piano piano trovo il coraggio e gli chiedo: «Cos’ho fatto?». Alberto mi guarda furioso e mi dice: «Mi hai riempito di insulti sotto i miei post! Mi hai definito infantile ed inaffidabile, ma questo è il meno: hai detto a tutti che i miei si stanno separando! Non ne avevi il diritto!». Io non sono sicuro di non averlo fatto, mi sento come appena risvegliato e non mi ricordo come possa essere successo. Dopo qualche minuto, mentre sto riaccompagnando Alberto alla macchina dopo che si è ricomposto, si insinua in me il dubbio di averlo fatto davvero e di essere pazzo e non ricordarmelo. Poi rinsavisco: «Io non l’ho fatto, davvero! Devo indagare» penso.

Il mio cellulare inizia a suonare all’impazzata: tutti i miei compagni di classe mi scrivono, dicendomi che sono falso e che non mi devo permettere di scrivere certe cose sotto i loro post. Sono nell’occhio del ciclone. Ma ecco una mano, Diana mi scrive e mi dice: «Diana: Tommy, cambia la password del tuo account e mimetizzati! Saranno giorni duri, ma io ti starò accanto. Ad Alberto lascia del tempo, lo sa che non sei stato tu. La rabbia però è tanta, perché la scuola era l’unico posto in cui le persone non provavano pena per lui, non sapendo della sua situazione in casa». Non sono solo: c’è ancora qualcuno che mi vuole bene. 


venerdì 12 marzo 2021

Gli scienziati della 1^D: le interviste atomiche!

I ragazzi della 1^D si sono immaginati nei panni dei grandi scienziati che hanno studiato la struttura più intima della materia: dal loro lavoro emerge la passione per la scienza che ha animato questi grandi uomini, ma anche la loro vita privata, che li rende più vicini a noi. Grazie al corso di scienze della prof.ssa A. Tasselli, protoni, neutroni ed elettroni non hanno più segreti per i nostri studenti! Ed ora gustatevi le nostre interviste atomiche!



Clicca QUI per vedere il video