venerdì 26 marzo 2021

Il coraggio di scegliere - cap. 7: Il fulcro di ogni cosa

Una lezione di scienze sulla cellula, una torta al cioccolato, una confessione inaspettata. Come sono collegate queste cose? Affrettati a leggere il settimo capitolo del nostro giallo per scoprirlo!




Alberto ed io stiamo giocando con la Play, consapevoli che da un momento all’altro arriverà Diana per studiare matematica. Bevo la mia spremuta lentamente per cercare di trattenerne il gusto il più a lungo possibile. Sto vincendo io! «Sei un po’ scarso oggi, amico mio» dico ad Alberto, ridendo. «Non è ancora detta l’ultima!» mi dice lui, impugnando il joystick e concentrandosi di più. Il citofono suona, mi distraggo un momento e Alberto vince, ridendo e prendendomi affettuosamente in giro. Io rido con lui, mentre vado ad aprire a Diana.

Il pomeriggio passa veloce tra calcoli, cibo e risate. Nessuno parla del bullo anonimo: non vogliamo rovinare la bella atmosfera che si è creata. La mamma è contenta, mentre ci guarda dalla porta del salotto. «Siete una bella compagnia» dice, mentre ci porta gli orsacchiotti gommosi. «Scusa, mamma, ti diamo fastidio mentre lavori?» le chiedo, visto che il suo studio è la stanza più vicina al salotto. «No, tranquillo, l’articolo l’ho già scritto. Sto solo riguardando quelli dei miei colleghi, ma sono sempre ben scritti» mi dice, sorridendo e avviandosi di nuovo alla sua scrivania. Mamma a volte lavora da casa per poter stare con me: quando lavorava tutto il giorno al giornale non la vedevo mai. Dice che vuole passare più tempo possibile con me, prima che io diventi adolescente, l’incubo di ogni genitore. «Che lavoro fa?» mi chiede Diana. «La giornalista» le risponde Alberto «Adesso puoi capire da dove nasce la sua passione!». Diana mi guarda con i suoi occhi ambrati: sembra stupita, ma non sorpresa. In quel momento mi fermo a pensare a quanto siano belli. Purtroppo, l’ora di cena è arrivata e la mia amica non può fermarsi: ha ospiti a cena. Ringrazia tutti, persino mio papà che nel frattempo è tornato, per poi correre a casa sua.

Oggi alzarmi è più facile, ma allo stesso tempo più pesante: le verifiche di matematica mi fanno paura. Mi preparo velocemente, faccio colazione e in un attimo sono in macchina con Alberto, che accende la musica per allentare la tensione. Matematica è alla prima ora, il mio cellulare vibra: «Numero Sconosciuto: Buona verifica di matematica!». Eccolo, mancava solo questo. Arriviamo davanti alla scuola e mia mamma ci fa scendere, dicendo: «In bocca al lupo!» Alberto ed io rispondiamo: «Crepi!» in coro. Vado in classe con lo sguardo basso, mentre le finestre aperte della scuola sembrano occhi che mi fissano.

Una volta che la verifica l’ho consegnata, l’adrenalina inizia a scendere e il suono della campanella dà inizio al momento più felice della giornata. Il prof. di scienze è già sulla porta e studia le nostre espressioni sfatte. Il nostro insegnante ha un pacchetto tra le mani e lo zaino in spalla. «Prof., cos’ha nel pacchetto?» chiede Marco, incuriosito. «Questa è una sorpresa!» risponde il professore, sistemandosi gli occhiali. «Alzatevi e mettete i banchi contro le pareti. Dopo di che, prendete le vostre sedie e fate un cerchio in centro. Veloci e senza fare troppo rumore!».

In pochi minuti siamo tutti in cerchio al centro dell’aula: sembra grandissima senza l’ingombro dei banchi. Il professore prende la sua sedia e con il pacchetto in mano si sistema al centro. «Questa è una cellula» inizia a parlare, guardandoci uno ad uno: «Voi siete una classe, una cellula. Ognuno ha la sua funzione. C’è il nucleo: contiene le informazioni importanti per la vita della cellula. Io sono al centro, potrei coincidere ora con il centro della vostra cellula, la vostra classe. Ci sono alcuni che riescono ad intravedere gli stati d’animo delle persone intorno a loro: possiamo dire che sono il messaggio, che parte dal nucleo e va nei ribosomi, dove avviane il vero e proprio miracolo». Tutta la classe lo guarda incantata e nessuno osa parlare. «Il ribosoma, aiutato da trasportatori che amano le informazioni, riesce a creare la proteina perfetta, che riesce a portare avanti le funzioni cellulari. Quindi, il compagno curioso aiuta il compagno che ha il compito di trovare la soluzione ai problemi. Poi c’è chi è equo e distribuisce a tutti la propria proteina: si chiama apparato di Golgi. Questi sono quegli studenti che, quando hanno delle matite o dei fogli da distribuire, sono precisi: nessuno ha del materiale in più o in meno rispetto a quello che gli serve». Ormai sono completamente rapito: credo di non aver mai sentito una lezione di scienze così interessante. «C’è anche chi fa tesoro dei regali fatti da altre classi: sono un po’ come degli ambasciatori nati per le pubbliche relazioni. Il loro nome è endosomi: una volta ricevuto il “regalo”, lo portano all’apparato di Golgi, che sa per certo chi ne ha bisogno. Ad esempio, qualcuno ha dimenticato la calcolatrice? Un componente della nostra cellula manda un messaggio ad un componente della cellula vicino a noi per chiedere se ne hanno una da prestarci. Arriva il trasportatore, che rimane sulla porta. Il “compagno endocitosi” va da lui e lo ringrazia, portandola poi al “compagno apparato di Golgi”, che dà la calcolatrice a chi ne ha bisogno. Ci sono i mitocondri che con la loro gioia, chiamata ATP, danno energia alla cellula. Per ultimi ci sono i lisosomi: odiano i fronzoli e degradano le sostanze nocive o inutili per la cellula. Ad esempio, finisce la giornata e qualcuno ha dimenticato un foglio di brutta per terra? Questo compagno prima si accerta che non serva e poi lo butta, in modo da lasciare l’ambiente pulito. Quelli che vi ho fatto sono esempi pratici: ci sono momenti in cui tutte queste dinamiche avvengono e noi non ce ne accorgiamo, sono del tutto normali ed è difficile notarle tutte per chi è dentro alla cellula». Il prof. gioca con il pacchetto che ha tra le mani e poi mi guarda: «Il ribosoma spesso si trova all’interno di una sorta di labirinto, chiamato reticolo endoplasmatico. Questo labirinto facilita la diffusione delle proteine». Momento di silenzio. «Avete domande?» chiede l’uomo al centro della stanza. Credo di aver capito: il labirinto facilita la comprensione di alcune sensazioni che sono completamente estranee a chi non è nella tua stessa situazione. Questo fa soffrire, però permette di aiutare e capire le persone intorno a te. Nel mio caso sono sia messaggero che ribosoma e ciò mi rende bravo nello scrivere. Capto notizie da Martina, amante delle informazioni, e scrivo. Ognuno serve nel luogo in cui è, in tutta la sua unicità!

Alberto alza la mano: «Prof., ma cosa nasconde il suo nucleo?». Lui sorride, aspettandosi quella domanda: «Nel mio nucleo oggi c’è l’informazione più importante della lezione: ognuno nel luogo in cui è risulta necessario. La cooperazione e il sapere di non essere soli ci rendono più consapevoli e ci spingono a fare le cose meglio» dice, aprendo il pacchetto, che contiene una buonissima torta al cioccolato. «Informazione molto dolce» dice, sorridendo e avviandosi verso la cattedra. Tira fuori dallo zaino un muffin alla frutta e lo porta a Martina. «So che non puoi mangiare il cioccolato» le dice «quindi per te ho preparato questo, sperando che ti piaccia». La classe inizia a ridere, a scherzare, il clima si alleggerisce. «Tommaso» mi chiama il prof. «vieni a darmi una mano: distribuisci le fette di torta ai tuoi compagni». Io mi alzo e cala il gelo: il professore lo percepisce e non appena sono da lui, mi fa l’occhiolino. «Non farti scoraggiare» mi dice. Prendo le fette ed inizio a distribuirle: Diego, Giacomo, Marco, Diana, Alberto, Raffaele, Beatrice e persino Olivia con cui ho avuto la diatriba ieri. Appena mi siedo con la mia fetta in mano, la tensione si è affievolita, lasciando spazio all’allegria che il cioccolato porta. Suona la campanella dell’intervallo, ma rimaniamo seduti, mangiando insieme anche al prof., con la consapevolezza di essere chiamati a collaborare e a vivere insieme quel che rimane dei prossimi tre anni. Aspettiamo che anche l’ultimo finisca e poi ci alziamo, il professore mi chiama. «Tommaso, sono proprio contento dei passi avanti che hai fatto oggi. Anche portando la torta, hai capito qual è la tua funzione. Devi ricordarti di portare il messaggio e a volte anche la soluzione, nonostante gli screzi. Questo vuol dire scrivere per il giornalino della scuola!» mi dice con un atteggiamento paterno, di chi ti vuole bene. «Grazie per la sua lezione, prof. Tomasini: credo che non la dimenticherò mai» gli dico, mentre lui si avvia verso la porta.

Il resto delle ore passano velocemente, l’ultima campanella della giornata suona, ma non riesco ad alzarmi e rimango incollato sulla sedia. La classe si svuota, Alberto guarda Diana ed esce in corridoio: rimaniamo solo lei ed io. «Come faccio a sapere che non mi hai mentito?» le chiedo tutto d’un fiato, sperando che la persona che ho davanti sia autentica. Diana rimane in silenzio un attimo, poi mi guarda. «Vuoi davvero sapere perché puoi fidarti di me? Perché vivo tutti i giorni quello che vivi tu: la coscienza che ti parla facendoti male, se ti muovi e urti qualcuno, perché in fondo lo sai che dolore si prova ad essere dall’altra parte. Chiunque abbia preso il tuo profilo, ha toccato il mio punto debole: mi paragono sempre... Vorrei essere bella come Beatrice, ma mi devo accontentare della bellezza dei miei pensieri e delle mie emozioni. Inoltre, sì... tu... tu mi piaci, ma non te ne sei mai accorto, perché troppo preso da lei. Questo mi ha fatto capire che non potevi essere tu a scrivere: sono subito entrata sul mio profilo, perché nessuno lo vedesse, e dopo alcuni secondi i messaggi sono scomparsi. Ho mangiato a mala pena l’altra sera, non ho voluto parlare con nessuno. E tu di punto in bianco sospetti di me, che ti sono stata vicino fin da subito! Mi hai fatto male» dice Diana, piangendo e uscendo fuori dalla classe.

Sono senza parole, rimango fermo con il cuore che batte. Nasce in me la consapevolezza che io, invece, la trovo bellissima, nonostante quello che lei crede di se stessa. Capisco che esistono due tipi diversi di bellezza: quella interiore e quella esteriore. Diana le ha entrambe, Beatrice è bella esteriormente, ma non la conosco bene interiormente. Sono consapevole di dover scegliere. Raggiungo Alberto in corridoio. «Che sfuriata!» mi dice, dandomi una pacca amichevole sulla spalla. «Non so chi scegliere tra Diana e Beatrice». Il mio amico di sempre sorride, dicendomi: «Oh, ma me ne lascerai qualcuna?». Ridendo, fa ridere anche me. Saliamo in macchina e senza pensarci mando un messaggio a Diana: «Non so se mi piaci, ma di sicuro ti voglio bene». Blocco il cellulare e mi addormento, grazie all’aiuto del suono del motore: è stata una giornata densa di emozioni.

Arriviamo a casa: mamma mi sveglia e mi invita a salire con Alberto, mentre lei cerca parcheggio. Appena aperta la porta di casa, ci fiondiamo in camera mia per decidere cosa mettere per l’uscita con Beatrice, qui si gioca tutto: devo capire chi tra lei e Diana fa per me. Mentre sto scegliendo i pantaloni, mi arriva un messaggio di Beatrice: «Scusa, Tommy, ma oggi pomeriggio sono incasinata: ci vediamo domani pomeriggio?! In classe ti dico dove. Un bacio, non vedo l’ora di vederti!». Mi sento sollevato: non me la sentivo di uscire con lei, dopo aver scoperto da pochissimo di piacere alla mia amica più cara.

Guardo Alberto e glielo riferisco: vedo una luce di felicità nei suoi occhi. Poi diventa improvvisamente serio: forse per supportarmi in questo momento, perché in fondo mi ha dato buca. Siamo entrambi contenti di avere un pomeriggio per noi, senza problemi, ma non ce lo diciamo apertamente: è il bello di saper interpretare gli atteggiamenti, non servono parole superflue. «Allora… giochiamo alla Play?» mi chiede Alberto, come se mi stesse offrendo un’alternativa al “dolore” di un rifiuto. «Sì, vado ad accenderla!» dico io, facendo finta che di opzioni ce ne fossero altre, mentre mi avvio verso la sala. Sono un po’ in ansia per domani: non vedo l’ora di poter scoprire chi sarà meglio per me.






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