Una giornata complicata, ma esaltante: scuola, a pranzo con papà e col tuo migliore amico, poi una telefonata preoccupante, eppure si può superare tutto, se al pomeriggio c'è l'appuntamento che desideri da tanto tempo. Ma alla fine: scacco matto! E Tommaso ha le ore contate!
Ieri alla fine si è trasformata in una bella giornata. Alberto sa sdrammatizzare e tirarmi su di morale, lui sa già chi probabilmente potrebbe fare per me. Ma non ne parla: vuole che io scelga con la mia testa. Mi alzo dal letto e noto che Alberto non è nel suo: che strano che quel pigrone non sia sotto le coperte. Mi vesto e mi preparo. Quando vado in cucina, mi serve la colazione con un sorriso enorme. «Che sorpresa! Grazie» dico, mentre mi siedo a tavola. «Hai visto che bravo? Ha fatto tutto da solo: quando mi sono alzata, era già qui che cucinava» dice mia mamma, sorridendo. Alberto è già pronto per andare a scuola, mentre assaggia la sua creazione all’americana: stamattina uova e bacon! Mi piace il salato, una mattina ogni tanto si può anche cambiare.
Salgo in macchina e sono già di buon umore, cantiamo tutto il tempo e ci divertiamo un sacco. Quando arriviamo davanti a scuola, non vedo proprio l’ora di entrare per la prima volta. Scendo, «Ciao mamma! Ci vediamo dopo!» dico contento. Aspetto che anche Alberto l’abbia salutata e ci avviamo. Inizio a guardare la scuola con affetto: dopotutto sono mesi che è diventata la mia seconda casa.
Nel vialetto c’è un viavai insolito, la primavera deve aver risvegliato tutti. «C’è il preside alla finestra» dice Alberto. «Il bel tempo gli ha fatto venir voglia di alzare lo sguardo dal computer: lavora tantissimo, mi hanno detto» aggiunge serio. Io, che delle abitudini del preside non so niente, mi limito a guardarlo. Saliamo la scala e mi preparo per la prima ora di Italiano: c’è una lezione speciale su Dante, in occasione del centenario della sua morte. Credo che quell’uomo fosse geniale: come si fa a scrivere: 1 canto proemiale, 33 canti per l’inferno, 33 per il purgatorio, 33 per il paradiso… tutti in endecasillabi!? Mi pregusto già la spiegazione, quando entra la vicepreside e la classe si gela.
«Ho bisogno di Tommaso e di Diana» dice la professoressa, mentre rimane sulla porta. Io mi guardo intorno e vedo che Diana non è ancora arrivata, inizio ad alzarmi. La raggiungo fuori dall’aula curioso. «So che avevamo dato come termine lunedì, ma volevo chiedervi: la vostra classe ha già un titolo per l’articolo? Il numero delle prime è l’esordio dell’anno, ci tengo a seguirlo personalmente» dice la vicepreside con gli occhi pieni di aspettativa. Ma non abbiamo avuto il tempo di parlarne, non so cosa risponderle. «Sì, professoressa, pensavamo a “La Vera Bellezza”» dice Diana, sorridendo: ma quando è arrivata!? Mi ha messo in disordine il cuore: se ne è andata rumorosamente e ora silenziosamente mi salva. «Mi sembra un articolo interessante: se viene fuori qualcosa di davvero bello, merita la prima pagina! Il titolo fa venir voglia di leggere, promette bene. Molto bravi, non mi aspettavo aveste già la risposta!» dice l’insegnate, scrivendo sul suo taccuino. Nemmeno io sinceramente: questa ragazza è sorprendente e il suo titolo mi piace molto. «Va bene ragazzi, potete rientrare. Grazie» veniamo congedati. Rientrando in classe, dico: «Mi hai salvato». Diana punta su di me i suoi occhi color ambra. «Lo so, ma non è la prima volta. Probabilmente ci hai fatto troppo l’abitudine» mi risponde, guardandomi con una punta di sfida. Mi siedo al mio banco, Diana si siede vicino a me e si mette a leggere. Non mi vuole parlare: è chiaro, il libro è il segnale.
«Tommy, ci vediamo oggi alle 17:00 al parchetto in via della Libertà?» mi domanda improvvisamente Beatrice, sorridendo. La sento a pochi centimetri da me e non oso alzare gli occhi: sento bruciare lo sguardo di Diana su di me. Provo ad alzare la testa, il mio naso ha quasi sfiorato quello di Beatrice. Mi sento male, mi sento braccato, se devo essere sincero. Non riesco a capire da dove nasca questa emozione: sono spaesato e mi giro a guardare Diana. I suoi occhi sono ambrati con dei dettagli verdi che visti da lontano sembrano dare il colore a tutto l’occhio. Beatrice si spazientisce e mette le mani sul quaderno delle mie ispirazioni, mentre cerca di aprirlo. Mi volto di scatto e dico: «Certamente, ci vediamo dopo. Scusa, ero perso nei miei pensieri». Ma cosa dico? Ora sembro un disadattato: come mi guarderà oggi pomeriggio? Mi accorgo che tutta la classe ci ha sentito e ci osserva interdetta. «Tommy, lo sappiamo che è un onore che Beatrice ti abbia chiesto di uscire, ma scendi dalle nuvole, perché altrimenti scappa!» mi deridono Raffaele e Diego. «Tommy, fa’ un sorriso su: hai soffiato la ragazza più ambita da tutti da sotto il naso della squadra di basket! C’è da stringerti la mano!» aggiunge Giacomo, che non sembra del tutto soddisfatto di quanto detto prima.
Beatrice è tutta rossa, paralizzata. Sembrerebbe che nemmeno lei abbia gradito. Ha lo sguardo di chi è appena stata tradita e con amarezza torna al suo banco, dedicandomi un sorriso triste. Diana scrive su un foglio in modo concentrato, sembra proprio l’articolo per lunedì. Non mi degna nemmeno di uno sguardo. Non volevo farle così male: non avrei mai voluto farle sapere che sarei uscito con Beatrice. Sembra più di quanto in realtà è: voglio conoscerla meglio per capire chi fa più per me. La squadra di basket ha fatto sembrare le cose più facili di quanto in realtà sono, ferendo Diana che in quel momento si sentiva stupida. Ma comunque vadano le cose, non voglio coprirla di ridicolo, voglio proteggerla. La squadra di basket deve continuare a tenerla fuori, quindi non reagisco. Loro hanno sicuramente più armi rispetto a me e, tra le altre cose, io tengo ai miei amici e non voglio che si facciano del male.
Entra la prof. di inglese e tiro un respiro di sollievo: la pantomima per ora è finita. Seguo la lezione: tra tempi verbali e modi di dire, l’ora vola e mi ritrovo a pensare come sarebbe se fossi nato in un altro Stato. Come sarebbe un Tommy inglese? Quello francese? Quello spagnolo? Milioni di possibilità, solo una che si avvera. Io Tommaso, nato a Modena, vivo in Emilia Romagna e il mio piatto preferito sono i tortellini. Un classico, ma credo che la mia esperienza sarebbe diversa, se per esempio fossi nato in Puglia. Oppure sarebbe magico abitare in una grande città come Roma, Torino o Milano. Ma anche abitare al mare avrebbe il suo fascino: Rimini, Genova o Napoli. Ma se voglio un mare incantevole, ricco di storia e bellezza, vorrei andare a vivere nella città di Marco Polo: Venezia. Forse però ci sono troppi turisti, allora faccio un giro a Verona, dove mi aspettano Romeo e Giulietta, pronti a raccontarmi dell’amore vero: ne avrei proprio bisogno.
Guardo Diana e mi chiedo da dove abbia preso quegli occhi dal colore così strano: mi immagino una giovane donna patrizia con i suoi stessi lineamenti che si chiede se tra anni qualcuno acquisirà la sua bellezza. E poi c’è una versione bionda e con gli occhi azzurri: saranno stati i popoli germanici? Milioni di possibilità, come gli anni della storia. Tante persone hanno regnato sulla nostra terra: le origini etrusche, i Romani, gli Estensi, Napoleone, gli Asburgo-Este. “Quanta storia!” penso, mentre prendo appunti: può essere un buon articolo!
Diana è immersa nel suo libro: la prof. di musica oggi non c’è e Margherita è seduta alla cattedra che legge il giornale. Tutti abbiamo portato qualcosa da fare: c’è chi legge, chi scrive e chi dorme. Ma la classe è silenziosa e questo è favorevole per chi ha voglia di studiare o fare i compiti per il week-end. Questa è l’ultima ora e la mia compagna di banco non mi rivolge la parola. Non è stata una gran mossa quella di Beatrice: mi ha messo in seria difficoltà. Metto il punto alla frase che ho appena scritto e chiudo la penna. Noto che la mia amica alza leggermente gli occhi dal libro, come per studiarmi. Mancano dieci minuti, ma io non vedo l’ora di tornare a casa: devo farmi bello. Scaccio il pensiero, perché Diana mi rivolge uno sguardo tagliente: se avesse potuto alzarsi e buttarmi addosso il libro che aveva tra le mani, sicuramente non ci avrebbe pensato due volte. Vedo poi Beatrice che la guarda con i suoi occhioni blu, non capisco cosa pensi.
Giacomo dietro di me si sbraccia per attirare l’attenzione della biondina, che sembra quasi essere ipnotizzata dalla ragazza che siede accanto a me. Appena Beatrice alza gli occhi e guarda l’atleta alle mie spalle, sento quest’ultimo bisbigliare: «Ma sei seria? Esci con lui?». Mi indica, poi aggiunge: «Credevo che tra noi ci potesse essere qualcosa». Giacomo gesticola animatamente e gli occhi di Beatrice si fanno più seri: «Giacomo, il fatto che io sia gentile con te non significa automaticamente che tu mi piaci. Sei un mio amico, ecco… tengo a te come amico» sussurra la biondina. Friendzone in diretta: oggi pomeriggio probabilmente tutta la sua squadra lo prenderà in giro agli allenamenti e il playmaker lo sa, glielo si legge negli occhi. I due interlocutori smettono di guardarsi, la campanella suona ed io sono consapevole del fatto che qualcosa si è rotto per sempre.
Mi avvio verso la porta, mentre sento Beatrice che parla con Diana: «Mi dispiace se a Tommy piaccio io, non sapevo che ti piacesse: altrimenti te lo avrei lasciato» dice la bionda. La mora, invece di rispondere, la guarda negli occhi, mentre si mette la cartella sulle spalle, le sorride e se ne va. Cosa ci avrà mai letto in quegli occhi? «Tommy, andiamo!» mi dice Alberto, risvegliandomi dai miei pensieri.
Mamma oggi non è venuta a prenderci: aveva un impegno con Caterina, la mamma di Albi. Al suo posto è venuto papà, che ci ha portato a mangiare al “Quadrifoglio” in via Gramsci, uno dei miei posti preferiti! Ci sediamo e ordiniamo da mangiare, felici di essere tutti insieme. Alberto ci racconta una barzelletta e spiega anche come io stia diventando un Casanova. Papà ride, prendendomi affettuosamente in giro, mentre mi lascia un buffetto sulla guancia. Tutto questo è perfetto, arrivano le piadine e mi metto a mangiare di gusto. Alberto ride e scherza con mio papà: era da molto che non rideva così e mi sembra che per un attimo tutte le cose brutte siano svanite. Ma ecco, il cellulare di papà inizia a suonare e mi risveglia: è sempre preso con il lavoro. Lui risponde e il suo sguardo si fa serio, mentre si incolla su di me: non credo sia una chiamata di lavoro. «Mi pare strano, non è da lui…» dice papà, come difendendosi da un’accusa. «Mi sta dicendo che, senza nessuna prova certa, lei crede ad un pezzo di carta scritto da chissà chi?» la sua voce tradisce la calma apparente del suo atteggiamento: si sta arrabbiando. «Io lunedì mi presento, ma lei deve fornirmi molto più di un foglio anonimo» dichiara mio papà, mentre chiude. I suoi occhi sono incollati ai miei, sta sperando vivamente di aver sentito male. «Tommy, hai copiato il tema di ammissione al giornalino della scuola?» mi chiede con l’amaro in bocca. «No, papà, è tutto frutto della mia fantasia…» gli rispondo, guardandolo dritto negli occhi. «Di cosa hai parlato nel tema?» mi chiede con l’aria del genitore che vuole esserne certo. «Ho parlato della felicità e come esempio ho narrato della gita con i nonni vicino ad Urbino, dove c’era quel bel campo di girasoli. Ti ricordi che abbiamo giocato a rincorrerci?» dico appena sottovoce, mentre lo guardo con gli occhi umidi: spero mi creda. Rimango incredulo, mentre il mondo trema. Papà mi sorride e mi dice: «So che tu sei bravo a scrivere: qualcuno ti sta giocando un brutto scherzo. Mi ricordo quel pomeriggio. Dovrei avere anche le foto da qualche parte». Lui si alza per andare a pagare e rimango solo con Alberto. «Non ci lasciano mai in pace, eh?» mi chiede Alberto, mentre mi mette la mano sulla spalla. «Albi, ci sta portando via tutti i sogni. Ora dovrò rinunciare a scrivere e magari anche alla scuola…» le lacrime mi iniziano a cadere e le guance cominciano a rigarsi. Alberto mi abbraccia, mentre serissimo afferma: «Tommy, non ti lascio solo. Non ci arrenderemo, fino a che non avrai la tua prima pagina».
Tornato a casa, mi precipito allo specchio: questa volta mi pettino bene, mentre metto una maglietta blu notte, si abbina perfettamente con i miei occhi. Mi profumo il collo con la colonia di mio papà: spero che non si arrabbi. Mi lavo bene la faccia in modo che non si veda che ho pianto - non mi renderebbe macho agli occhi di Beatrice - ed esco dal bagno. «Amico, ti sei trasformato!» mi dice Alberto, facendomi l’occhiolino. «Ma dai, non ero mica il brutto anatroccolo prima» ribatto, sorridendo, mentre il mio amico finge di essere perplesso e ride a sua volta. La cosa bella di avere un amico come lui è che sa portare gioia anche durante il temporale, ti trascina a ballare sotto la pioggia.
Mi incammino verso via della Libertà, mi sento seguito. Mi giro e non vedo nessuno: nonostante il sollievo che ho provato, mi sento addosso uno sguardo che quasi mi brucia. Vado più veloce e percepisco che non basta. Mi concentro su quello che accade alle mie spalle, vado sempre più veloce e ogni tanto mi giro. All’improvviso sbatto contro qualcuno: in preda al panico giro la testa nella direzione in cui stavo camminando e sento: «Tommy, stai attento!». Era Beatrice: che figura! «Troviamo una panchina dove sederci?» mi chiede lei, sorridendo. Io annuisco e la seguo, non pensando più al mondo intorno a noi. Quella ragazza mi toglie qualsiasi paranoia, è fantastica. Passiamo un pomeriggio stupendo in cui scopro un po’ il suo mondo. Anche lei è di Cavezzo, sebbene non l’abbia mai vista prima: vive spesso dai suoi nonni, che abitano vicino alla scuola e torna il sabato, dopo scuola. L’atmosfera si fa intensa, mi prende la mano e si avvicina. “Aiuto, cosa faccio ora?” penso, mentre abbozzo una carezza sul suo viso. D’improvviso ho il sole in faccia: lei mi sorride, mentre si avvicina sempre di più. Penso a Diana, mi congelo, mentre lei si avvicina ancora di più. Non ci penso più e mi lascio andare. Arriva a qualche centimetro dalle mie labbra, senza smettere di sorridere. Mi faccio coraggio e mi avvicino piano piano, lasciando tra noi pochissimi millimetri. D’improvviso, lei smette di sorridere, non l’ho mai vista così. “Che accade? Sarà colpa mia?” penso, andando in panico. Lei però non si allontana, anzi i suoi occhioni blu diventano vitrei e si incastrano nei miei. «Tommy, credevi davvero che mi interessassi?» mi dice con una vocina dolce, ma falsissima. A me inizia a mancare il terreno da sotto i piedi. «Sono io che vi perseguito tutti, voi e le vostre vite perfette. Meglio metterci un po’ di pepe, no? Ma ciò che è meglio è che non hai prove: lunedì, dopo la tua espulsione, nessuno ti crederà. Sono convincente in anonimo, anche il preside mi crede! Hai le ore contate» dice, poi sposta il suo viso, appoggiando le sue labbra sulla mia guancia, e vi imprime un bacio di Giuda. Ho i brividi: ora ho davvero paura di questa ragazza. Rimango immobile, seduto sulla panchina, guardandola mentre si allontana. Cerco una mossa che possa salvarmi dal suo “Scacco Matto”, mentre come uno sciocco fisso la mano che lei mi aveva afferrato qualche secondo fa.
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