martedì 20 aprile 2021

Il coraggio di scegliere - cap. 9: Pedone in D-8

Ormai per Tommaso sembra finita, ma ha ancora il coraggio di fare l'unica cosa giusta: rivolgersi agli adulti. Gli crederanno? Intanto una notizia sconvolge la classe durante l'ora di scienze, mentre Diana non degna di uno sguardo chi le ha preferito un'altra. La partita è persa o forse c'è ancora una mossa da inventare?




Sono sdraiato sul mio letto e fisso il soffitto, non nascondo che sto male. Insomma, lei che per me rappresentava la bellezza vera… d’improvviso si rivela tutt’altro. Alberto entra in camera con del cioccolato e due spremute. Appoggia sulla scrivania il cioccolato e mi porge un bicchiere, sedendosi poi sul letto di fronte al mio. «Come ti senti?» mi chiede preoccupato il mio amico. «Mi vergogno: ho davvero creduto di interessarle e ho lasciato in un angolo Diana. Ho inseguito una chimera, andava sempre più veloce e io ho accelerato sempre di più. Poco tempo per pensare e poca lucidità da parte mia: Beatrice è bellissima esteriormente, ma interiormente…» sospiro, nascondendomi il viso con le mani «…l’ho guardata negli occhi ed interiormente non mi è piaciuta: mi ha fatto persino paura». «Ci credo che ti abbia fatto paura! Ti ha praticamente detto di essere stata lei a pedinarci per mesi!» replica Alberto, finendo la sua spremuta, poi torna a guardarmi negli occhi serio: «Come credi di fare con Diana?». Mi pone la domanda di cui avevo più paura e i miei occhi iniziano a bruciare. «Tommy…» dice il mio amico, guardandomi. «Albi, non lo so, mi vergogno tantissimo per come l’ho trattata: si sentirà la ruota di scorta! Non avrei dovuto assolutamente farmi ammaliare da Beatrice, ma l’unico modo per capire se caratterialmente fosse fatta per me in un tempo decente era uscirci…» affermo piano, come se non avessi più fiato. «Non devi convincere me, devi parlarne con Diana e vedere cosa ne pensa lei. Io sono sempre con te però, qualsiasi cosa accada» mi dice Alberto, andando a prendere il cioccolato. Finisco l’ultimo sorso di spremuta e mi precipito verso il mio cellulare. «Ora provo a chiamarla!» dichiaro emozionato. Alberto mi guarda perplesso, ma mi lascia fare. Scelgo il suo nome in rubrica e la chiamo, faccio un sospiro e metto il cellulare sull’orecchio. Inizia a suonare ed io non vedo l’ora di sentire la sua voce, uno… due… tre squilli. Dieci… undici… dodici, il mio cuore batte e l’ansia sale. Alberto mi guarda capendo, prima di me, che Diana non risponderà. Inizio a leggere il pensiero nei suoi occhi e mi sento di nuovo male. Mi vergogno di ciò che ho pensato: lei non ha nessun obbligo di essere accanto a me per prendermi al volo. Soprattutto dopo che ho dubitato di lei e sono uscito con un'altra ragazza, sapendo di piacerle: che disastro che sono!

«Tommy, Albi! È pronto, venite a tavola!» dice mia mamma dalla cucina. Questa sera sono venuti a cena anche i genitori di Alberto: credo sia la sera giusta per raccontare che cosa sta accadendo. «Albi, è ora che raccontiamo. Lunedì sarà la mia fine, ma tu potrai vivere bene a scuola: senza paura…» dico piano per non farmi sentire dai nostri genitori. Sono agitato, ma penso sia l’unica cosa da fare. Lui mi guarda, annuendo tristemente: credo che l’idea che io me ne vada non piaccia molto nemmeno a lui.

La cena è stata liberatoria e alla fine è passata tranquilla: abbiamo raccontato cosa ci stava capitando e i miei mi hanno detto che mi staranno accanto, qualsiasi cosa accada. Ora mi sento molto più al sicuro e anche Alberto è sollevato. La mamma del mio amico ha cucinato una lasagna e una torta pazzesca. Mi avvio in camera, mentre Albi finisce di salutare i suoi genitori, poi crollo sul letto e mi addormento senza cambiarmi: sento addosso il peso dei secondi che passano. Nonostante mi senta al sicuro, sento pressante e assurdo il fatto che io mi debba difendere per una cosa che non ho assolutamente commesso. Il plagio è sempre stato contro ogni mio codice morale, lo sanno tutti. Faccio fatica addirittura a pensare di copiare durante una verifica! Credevo che i miei professori se ne fossero accorti, invece una lettera anonima mette a repentaglio la mia condotta ai loro occhi. D’improvviso smetto anche di pensare, abbracciando Morfeo: per il momento il mio cervello è in pace.

La domenica passa velocemente tra il pranzo dai nonni e le solite cose da fare. Ho provato anche a chiamare Diana, più per scusarmi che per ottenere il suo perdono. Ma non mi ha mai risposto: conosco a memoria la sua segreteria telefonica ormai. Ho messo a soqquadro le cose, avevo la soluzione davanti, ma ho voluto sbatterci il naso. Diana invece mi è sempre stata accanto, nel bene e nel male. Io, invece, l’ho ripagata lasciandola da parte. Che amico pessimo: il fatto che lei non voglia rispondermi è puramente lecito. Mi chiedo solo se ci sarà mai occasione per fare pace. Alberto si siede vicino a me, risvegliandomi dai miei pensieri, e mi porge il suo cellulare aperto su una chat: «Diana: Albi per favore, diresti a Tommy di smettere di chiamarmi? Non voglio metterlo nella lista nera delle chiamate in entrata...». Il messaggio è chiaro e il mio amico aveva la faccia dispiaciuta. Non devo starle addosso, potrei ottenere l’effetto contrario rispetto a quello sperato. «Grazie, Albi, andiamo a farci una passeggiata?» gli chiedo, spegnendo il cellulare e mettendolo sulla scrivania. Non ho nessuna intenzione di portarlo con me: ha già condizionato abbastanza la mia vita fino ad ora. Alberto capisce e mette in tasca il suo in modalità silenziosa per le emergenze ed usciamo.

Arrivato a sera sento il tempo scorrermi ormai via dalle mani e sono comunque contento di aver vissuto il mio sogno, anche solo per qualche mese. Certo, grazie allo zampino di Beatrice non è stato privo di angoscia e di pensieri, però sono entrato nella scuola che desideravo. «Tommy, non ti preoccupare per domani: sarà dura, ma ti saremo accanto. Spegni la luce ora e cerca di chiudere gli occhi» mi dice Alberto, agitato quanto me. Faccio come mi dice: spengo la luce, mentre alcune lacrime iniziano a rigarmi le guance.

MI sveglio, è lunedì. Mi alzo dal letto trascinandomi: sento come se avessi i catenacci ai piedi. Un galeotto, sotto accusa per il peggiore dei mali. Il mio processo non è limpido, ma costruito. La pietra angolare che lo regge? Una lettera anonima scritta dalla ragazza che mi ha fatto invaghire di lei solo per screditarmi e togliermi dalla competizione. Mentre penso a questo, immagino un tribunale inglese, con un sacco di giudici ed avvocati con la parrucca a boccoli bianchi. Ci passo in mezzo, mi sento lì con loro, mentre mi guardano sprezzanti. E poi una mano sulla mia spalla: «Tommy, dove stai volando con la mente? Vai a sistemarti che oggi devi dimostrare quanto vali». È Alberto. Il palazzo di giustizia che mi ero appena immaginato si fa piccolo e sparisce tra tutti i pensieri che ho buttato via. Inizio a camminare con la schiena dritta: oggi non sarà il mio giorno del giudizio. Se me ne devo andare, lo farò con la testa alta.

Faccio colazione, sistemo i polsi del maglioncino sotto lo sguardo dei miei genitori. «Tommy, vuoi dirci qualcos’altro che ci sarebbe utile per proteggerti al meglio?» chiede mia mamma, accarezzandomi la guancia. «No, mamma, sapete tutto» le dico, guardandola negli occhi: non li ho mai visti così grigi. Solitamente li ha di quel colore quando è preoccupata, ma oggi sembra più arrabbiata che altro. Lei è una giornalista: sa quanto pesa una falsa accusa di plagio. Si sistema le pieghe della camicia, accompagnandola con le mani. È una sua paranoia: nonostante l’abbia stirata venti volte, ha paura che non sia perfetta. Aggiusta la collana sotto il colletto, mentre si guarda allo specchio all’entrata: è agguerrita. Mentre studio la mamma, arriva papà dicendo: «Non ho trovato le foto, devono essere dai miei» è un po’ triste. «Ce la faremo anche senza: vedrete!» dice Alberto, attirandosi lo sguardo di tutti. Sorridiamo ed usciamo: che la battaglia abbia inizio!

Arrivato a scuola, mi dirigo con i miei genitori dal preside, mentre Alberto sale in classe salutandoci. Aspetto davanti all’ufficio per un’ora, nell’attesa che il preside ci faccia entrare, ma nessuno si fa avanti. Sembra quasi che non ci sia anima viva in quell’ufficio. Improvvisamente, in fondo al corridoio vedo arrivare il professor Tomasini che si avvicina: «Buongiorno, signori, sono il professor Tomasini. Insegno scienze a vostro figlio» dice, porgendo la mano «Il preside è in ritardo per via di un contrattempo. Sono desolato per il tempo che state perdendo… sono qui per chiedervi se Tommaso potesse salire a fare lezione nell’attesa». Guardo con aria implorante i miei genitori: non ce la faccio più a stare fermo su questa sedia ad aspettare una persona che non arriva. «Se per il preside non è un problema…» dice mia mamma al professore, ricambiando la stretta di mano. «No, gliel’ho chiesto io stesso. Sono riuscito ad ottenere il permesso solo per la mia lezione però: saremo qui tra un’ora» dice il prof. contento. I miei acconsentono ed io mi incammino con il mio insegnante verso le scale.

Appena entro in classe, Martina e Alberto corrono ad abbracciarmi. «So cosa ti sta succedendo: è accaduto anche a me. Mi ha minacciato! Beatrice mi ha detto che, se ti difendo, rivelerà il mio segreto. Ho deciso così di rivelarlo io stessa!» mi dice piano Martina. Io rimango stupito e perplesso, ma ricambio il suo abbraccio sotto lo sguardo colmo di giudizio della classe. Tutti mi guardano come se fossi un mostro, tutti tranne Diana che non mi guarda nemmeno. «Va’ a sederti al tuo posto» mi dice il professor Tomasini, indicandomi il banco vuoto vicino alla ragazza più bella che io abbia mai conosciuto. Mi siedo e la mora non mi degna nemmeno di uno sguardo: è proprio ferita. «Ragazzi, buon giorno!» inizia il prof. «Oggi vorrei proporvi una lezione speciale. Parleremo infatti delle malattie piuttosto gravi che si sviluppano a causa di alcune anomalie che possono verificarsi nelle nostre cellule. Sto parlando dei tumori…». La classe trattiene il fiato, mentre il professore inizia a girare tra noi: «Cosa accade? Perché una cellula dovrebbe creare un problema al suo stesso corpo? Le operazioni svolte all’interno della cellula non sono sempre compiute perfettamente. Infatti, esistono dei processi chiamati di controllo. Ma se il nostro corpo non nota gli errori, si potrebbe creare una cellula che inizia a riprodursi in modo incontrollato, creando una massa, composta di cellule come lei, maligna. Questo crea malessere nella persona a seconda della zona attaccata…». L’insegnante si è fermato in fondo alla classe e ci costringe a girarci per guardarlo. Non appena ci siamo voltati tutti, la sua espressione diventa molto seria e continua: «Questo può accadere anche tra di voi. Qualcuno soffre, ha un problema e cambia. Cambiando inizia ad ammorbare gli altri e ciò causa problemi non indifferenti nel gruppo classe...». Riprende a girare per tutta la classe, guardandoci ad uno ad uno negli occhi: «Come si fa a guarire? Ci sono zone del nostro corpo che, se per caso vengono intaccate, portano ad un’alta percentuale di morte. Come ad esempio: il polmone, lo stomaco, il fegato…» la classe è immobile ad ascoltare «Quindi si ricorre alla chemioterapia, alla radioterapia oppure ai trapianti. La chemioterapia è la somministrazione di sostanze che aggrediscono le cellule cancerose per cercare di bloccarne la replicazione. Mentre la radioterapia è localizzata e non invasiva. Provoca la necrosi delle cellule cancerose grazie alle radiazioni ionizzanti. Il trapianto invece è la rimozione della massa cancerosa e la sostituzione con un tessuto appartenente all’individuo o con un organo di un donatore». Vedo Martina piangere in fondo alla classe. Credo di iniziare a capire, mentre Tomasini si ferma sulla cattedra. «Alla classe non serve, le persone “ammorbate” da comportamenti negativi non vanno portate alla necrosi, bensì alla vita. Attraverso attività che li facciano sentire utili e apprezzati» conclude il professore, firmando il registro.

«Prof., potrei raccontare una cosa?» chiede Martina, alzandosi in lacrime dalla sua sedia. Il professore alza lo sguardo. «Martina… te la senti?» chiede, guardandola con apprensione. «Sì…» risponde lei, quasi sotto voce. Il prof. le fa un cenno di consenso. Al posto di continuare a firmare il registro però, rimane a guardarla: come se dovesse stare attento per correre in suo soccorso da un momento all’altro. «Ho la leucemia, un tumore del sangue che è provocato dalla proliferazione delle cellule staminali» confessa la mia amica, crollando sulla sedia a piangere «Questo mi fa sentire male anche dal punto di vista psicologico, perché sento come se questa cosa mi rendesse diversa dagli altri. E la cosa peggiore è che non l’ho scelta io. Se facesse soffrire solo me, direi “chissenefrega”. Il problema è che fa male anche agli altri e non me la sento di avere amicizie troppo profonde: ho paura di ferirle». La classe ascolta in silenzio le ultime vibrazioni nate dalle corde vocali di Martina: noto che anche Diana piange. «Prof., cosa sono le cellule staminali?» chiede Marco, uscendo dal suo personaggio e stupendo tutta la classe. «Sono cellule che con la maturazione diventeranno globuli bianchi, globuli rossi e piastrine. I globuli bianchi difendono l’organismo da sostanze come virus, batteri o corpi estranei. I globuli rossi danno colore al sangue e aiutano la respirazione cellulare. Le piastrine sono piccoli frammenti che aiutano la coagulazione del sangue. Nel caso di Martina chemioterapia e radioterapia non bastano: serve il trapianto delle cellule staminali» afferma il professore «Grazie, Martina, per questo regalo». Vedo che anche il professore è commosso.

La campanella suona, cogliendoci in lacrime: è arrivato il momento di salutare tutti. Prendo la mano a Diana e la stringo: «Ti voglio bene» le sussurro piano. Mi allontano lentamente verso il professore che mi sorride e mi dice: «So cosa sta capitando, sono con te». Ho paura, ma non mi sento solo: questo basta per farmi lasciare quell’aula a testa alta, sotto gli occhi vittoriosi di Beatrice, e dirigermi verso l’ufficio del preside. Qualcosa mi dice che, nonostante la sua vittoria sia quasi palese, ora sia lei ad avere le ore contate. 


 

mercoledì 7 aprile 2021

Il coraggio di scegliere - cap. 8: Ore contate

Una giornata complicata, ma esaltante: scuola, a pranzo con papà e col tuo migliore amico, poi una telefonata preoccupante, eppure si può superare tutto, se al pomeriggio c'è l'appuntamento che desideri da tanto tempo. Ma alla fine: scacco matto! E Tommaso ha le ore contate!



Ieri alla fine si è trasformata in una bella giornata. Alberto sa sdrammatizzare e tirarmi su di morale, lui sa già chi probabilmente potrebbe fare per me. Ma non ne parla: vuole che io scelga con la mia testa. Mi alzo dal letto e noto che Alberto non è nel suo: che strano che quel pigrone non sia sotto le coperte. Mi vesto e mi preparo. Quando vado in cucina, mi serve la colazione con un sorriso enorme. «Che sorpresa! Grazie» dico, mentre mi siedo a tavola. «Hai visto che bravo? Ha fatto tutto da solo: quando mi sono alzata, era già qui che cucinava» dice mia mamma, sorridendo. Alberto è già pronto per andare a scuola, mentre assaggia la sua creazione all’americana: stamattina uova e bacon! Mi piace il salato, una mattina ogni tanto si può anche cambiare.

Salgo in macchina e sono già di buon umore, cantiamo tutto il tempo e ci divertiamo un sacco. Quando arriviamo davanti a scuola, non vedo proprio l’ora di entrare per la prima volta. Scendo, «Ciao mamma! Ci vediamo dopo!» dico contento. Aspetto che anche Alberto l’abbia salutata e ci avviamo. Inizio a guardare la scuola con affetto: dopotutto sono mesi che è diventata la mia seconda casa.

Nel vialetto c’è un viavai insolito, la primavera deve aver risvegliato tutti. «C’è il preside alla finestra» dice Alberto. «Il bel tempo gli ha fatto venir voglia di alzare lo sguardo dal computer: lavora tantissimo, mi hanno detto» aggiunge serio. Io, che delle abitudini del preside non so niente, mi limito a guardarlo. Saliamo la scala e mi preparo per la prima ora di Italiano: c’è una lezione speciale su Dante, in occasione del centenario della sua morte. Credo che quell’uomo fosse geniale: come si fa a scrivere: 1 canto proemiale, 33 canti per l’inferno, 33 per il purgatorio, 33 per il paradiso… tutti in endecasillabi!? Mi pregusto già la spiegazione, quando entra la vicepreside e la classe si gela.

«Ho bisogno di Tommaso e di Diana» dice la professoressa, mentre rimane sulla porta. Io mi guardo intorno e vedo che Diana non è ancora arrivata, inizio ad alzarmi. La raggiungo fuori dall’aula curioso. «So che avevamo dato come termine lunedì, ma volevo chiedervi: la vostra classe ha già un titolo per l’articolo? Il numero delle prime è l’esordio dell’anno, ci tengo a seguirlo personalmente» dice la vicepreside con gli occhi pieni di aspettativa. Ma non abbiamo avuto il tempo di parlarne, non so cosa risponderle. «Sì, professoressa, pensavamo a “La Vera Bellezza”» dice Diana, sorridendo: ma quando è arrivata!? Mi ha messo in disordine il cuore: se ne è andata rumorosamente e ora silenziosamente mi salva. «Mi sembra un articolo interessante: se viene fuori qualcosa di davvero bello, merita la prima pagina! Il titolo fa venir voglia di leggere, promette bene. Molto bravi, non mi aspettavo aveste già la risposta!» dice l’insegnate, scrivendo sul suo taccuino. Nemmeno io sinceramente: questa ragazza è sorprendente e il suo titolo mi piace molto. «Va bene ragazzi, potete rientrare. Grazie» veniamo congedati. Rientrando in classe, dico: «Mi hai salvato». Diana punta su di me i suoi occhi color ambra. «Lo so, ma non è la prima volta. Probabilmente ci hai fatto troppo l’abitudine» mi risponde, guardandomi con una punta di sfida. Mi siedo al mio banco, Diana si siede vicino a me e si mette a leggere. Non mi vuole parlare: è chiaro, il libro è il segnale.

«Tommy, ci vediamo oggi alle 17:00 al parchetto in via della Libertà?» mi domanda improvvisamente Beatrice, sorridendo. La sento a pochi centimetri da me e non oso alzare gli occhi: sento bruciare lo sguardo di Diana su di me. Provo ad alzare la testa, il mio naso ha quasi sfiorato quello di Beatrice. Mi sento male, mi sento braccato, se devo essere sincero. Non riesco a capire da dove nasca questa emozione: sono spaesato e mi giro a guardare Diana. I suoi occhi sono ambrati con dei dettagli verdi che visti da lontano sembrano dare il colore a tutto l’occhio. Beatrice si spazientisce e mette le mani sul quaderno delle mie ispirazioni, mentre cerca di aprirlo. Mi volto di scatto e dico: «Certamente, ci vediamo dopo. Scusa, ero perso nei miei pensieri». Ma cosa dico? Ora sembro un disadattato: come mi guarderà oggi pomeriggio? Mi accorgo che tutta la classe ci ha sentito e ci osserva interdetta. «Tommy, lo sappiamo che è un onore che Beatrice ti abbia chiesto di uscire, ma scendi dalle nuvole, perché altrimenti scappa!» mi deridono Raffaele e Diego. «Tommy, fa’ un sorriso su: hai soffiato la ragazza più ambita da tutti da sotto il naso della squadra di basket! C’è da stringerti la mano!» aggiunge Giacomo, che non sembra del tutto soddisfatto di quanto detto prima.

Beatrice è tutta rossa, paralizzata. Sembrerebbe che nemmeno lei abbia gradito. Ha lo sguardo di chi è appena stata tradita e con amarezza torna al suo banco, dedicandomi un sorriso triste. Diana scrive su un foglio in modo concentrato, sembra proprio l’articolo per lunedì. Non mi degna nemmeno di uno sguardo. Non volevo farle così male: non avrei mai voluto farle sapere che sarei uscito con Beatrice. Sembra più di quanto in realtà è: voglio conoscerla meglio per capire chi fa più per me. La squadra di basket ha fatto sembrare le cose più facili di quanto in realtà sono, ferendo Diana che in quel momento si sentiva stupida. Ma comunque vadano le cose, non voglio coprirla di ridicolo, voglio proteggerla. La squadra di basket deve continuare a tenerla fuori, quindi non reagisco. Loro hanno sicuramente più armi rispetto a me e, tra le altre cose, io tengo ai miei amici e non voglio che si facciano del male.

Entra la prof. di inglese e tiro un respiro di sollievo: la pantomima per ora è finita. Seguo la lezione: tra tempi verbali e modi di dire, l’ora vola e mi ritrovo a pensare come sarebbe se fossi nato in un altro Stato. Come sarebbe un Tommy inglese? Quello francese? Quello spagnolo? Milioni di possibilità, solo una che si avvera. Io Tommaso, nato a Modena, vivo in Emilia Romagna e il mio piatto preferito sono i tortellini. Un classico, ma credo che la mia esperienza sarebbe diversa, se per esempio fossi nato in Puglia. Oppure sarebbe magico abitare in una grande città come Roma, Torino o Milano. Ma anche abitare al mare avrebbe il suo fascino: Rimini, Genova o Napoli. Ma se voglio un mare incantevole, ricco di storia e bellezza, vorrei andare a vivere nella città di Marco Polo: Venezia. Forse però ci sono troppi turisti, allora faccio un giro a Verona, dove mi aspettano Romeo e Giulietta, pronti a raccontarmi dell’amore vero: ne avrei proprio bisogno.

Guardo Diana e mi chiedo da dove abbia preso quegli occhi dal colore così strano: mi immagino una giovane donna patrizia con i suoi stessi lineamenti che si chiede se tra anni qualcuno acquisirà la sua bellezza. E poi c’è una versione bionda e con gli occhi azzurri: saranno stati i popoli germanici? Milioni di possibilità, come gli anni della storia. Tante persone hanno regnato sulla nostra terra: le origini etrusche, i Romani, gli Estensi, Napoleone, gli Asburgo-Este. “Quanta storia!” penso, mentre prendo appunti: può essere un buon articolo!

Diana è immersa nel suo libro: la prof. di musica oggi non c’è e Margherita è seduta alla cattedra che legge il giornale. Tutti abbiamo portato qualcosa da fare: c’è chi legge, chi scrive e chi dorme. Ma la classe è silenziosa e questo è favorevole per chi ha voglia di studiare o fare i compiti per il week-end. Questa è l’ultima ora e la mia compagna di banco non mi rivolge la parola. Non è stata una gran mossa quella di Beatrice: mi ha messo in seria difficoltà. Metto il punto alla frase che ho appena scritto e chiudo la penna. Noto che la mia amica alza leggermente gli occhi dal libro, come per studiarmi. Mancano dieci minuti, ma io non vedo l’ora di tornare a casa: devo farmi bello. Scaccio il pensiero, perché Diana mi rivolge uno sguardo tagliente: se avesse potuto alzarsi e buttarmi addosso il libro che aveva tra le mani, sicuramente non ci avrebbe pensato due volte. Vedo poi Beatrice che la guarda con i suoi occhioni blu, non capisco cosa pensi.

Giacomo dietro di me si sbraccia per attirare l’attenzione della biondina, che sembra quasi essere ipnotizzata dalla ragazza che siede accanto a me. Appena Beatrice alza gli occhi e guarda l’atleta alle mie spalle, sento quest’ultimo bisbigliare: «Ma sei seria? Esci con lui?». Mi indica, poi aggiunge: «Credevo che tra noi ci potesse essere qualcosa». Giacomo gesticola animatamente e gli occhi di Beatrice si fanno più seri: «Giacomo, il fatto che io sia gentile con te non significa automaticamente che tu mi piaci. Sei un mio amico, ecco… tengo a te come amico» sussurra la biondina. Friendzone in diretta: oggi pomeriggio probabilmente tutta la sua squadra lo prenderà in giro agli allenamenti e il playmaker lo sa, glielo si legge negli occhi. I due interlocutori smettono di guardarsi, la campanella suona ed io sono consapevole del fatto che qualcosa si è rotto per sempre.

Mi avvio verso la porta, mentre sento Beatrice che parla con Diana: «Mi dispiace se a Tommy piaccio io, non sapevo che ti piacesse: altrimenti te lo avrei lasciato» dice la bionda. La mora, invece di rispondere, la guarda negli occhi, mentre si mette la cartella sulle spalle, le sorride e se ne va. Cosa ci avrà mai letto in quegli occhi? «Tommy, andiamo!» mi dice Alberto, risvegliandomi dai miei pensieri.

Mamma oggi non è venuta a prenderci: aveva un impegno con Caterina, la mamma di Albi. Al suo posto è venuto papà, che ci ha portato a mangiare al “Quadrifoglio” in via Gramsci, uno dei miei posti preferiti! Ci sediamo e ordiniamo da mangiare, felici di essere tutti insieme. Alberto ci racconta una barzelletta e spiega anche come io stia diventando un Casanova. Papà ride, prendendomi affettuosamente in giro, mentre mi lascia un buffetto sulla guancia. Tutto questo è perfetto, arrivano le piadine e mi metto a mangiare di gusto. Alberto ride e scherza con mio papà: era da molto che non rideva così e mi sembra che per un attimo tutte le cose brutte siano svanite. Ma ecco, il cellulare di papà inizia a suonare e mi risveglia: è sempre preso con il lavoro. Lui risponde e il suo sguardo si fa serio, mentre si incolla su di me: non credo sia una chiamata di lavoro. «Mi pare strano, non è da lui…» dice papà, come difendendosi da un’accusa. «Mi sta dicendo che, senza nessuna prova certa, lei crede ad un pezzo di carta scritto da chissà chi?» la sua voce tradisce la calma apparente del suo atteggiamento: si sta arrabbiando. «Io lunedì mi presento, ma lei deve fornirmi molto più di un foglio anonimo» dichiara mio papà, mentre chiude. I suoi occhi sono incollati ai miei, sta sperando vivamente di aver sentito male. «Tommy, hai copiato il tema di ammissione al giornalino della scuola?» mi chiede con l’amaro in bocca. «No, papà, è tutto frutto della mia fantasia…» gli rispondo, guardandolo dritto negli occhi. «Di cosa hai parlato nel tema?» mi chiede con l’aria del genitore che vuole esserne certo. «Ho parlato della felicità e come esempio ho narrato della gita con i nonni vicino ad Urbino, dove c’era quel bel campo di girasoli. Ti ricordi che abbiamo giocato a rincorrerci?» dico appena sottovoce, mentre lo guardo con gli occhi umidi: spero mi creda. Rimango incredulo, mentre il mondo trema. Papà mi sorride e mi dice: «So che tu sei bravo a scrivere: qualcuno ti sta giocando un brutto scherzo. Mi ricordo quel pomeriggio. Dovrei avere anche le foto da qualche parte». Lui si alza per andare a pagare e rimango solo con Alberto. «Non ci lasciano mai in pace, eh?» mi chiede Alberto, mentre mi mette la mano sulla spalla. «Albi, ci sta portando via tutti i sogni. Ora dovrò rinunciare a scrivere e magari anche alla scuola…» le lacrime mi iniziano a cadere e le guance cominciano a rigarsi. Alberto mi abbraccia, mentre serissimo afferma: «Tommy, non ti lascio solo. Non ci arrenderemo, fino a che non avrai la tua prima pagina».

Tornato a casa, mi precipito allo specchio: questa volta mi pettino bene, mentre metto una maglietta blu notte, si abbina perfettamente con i miei occhi. Mi profumo il collo con la colonia di mio papà: spero che non si arrabbi. Mi lavo bene la faccia in modo che non si veda che ho pianto - non mi renderebbe macho agli occhi di Beatrice - ed esco dal bagno. «Amico, ti sei trasformato!» mi dice Alberto, facendomi l’occhiolino. «Ma dai, non ero mica il brutto anatroccolo prima» ribatto, sorridendo, mentre il mio amico finge di essere perplesso e ride a sua volta. La cosa bella di avere un amico come lui è che sa portare gioia anche durante il temporale, ti trascina a ballare sotto la pioggia.

Mi incammino verso via della Libertà, mi sento seguito. Mi giro e non vedo nessuno: nonostante il sollievo che ho provato, mi sento addosso uno sguardo che quasi mi brucia. Vado più veloce e percepisco che non basta. Mi concentro su quello che accade alle mie spalle, vado sempre più veloce e ogni tanto mi giro. All’improvviso sbatto contro qualcuno: in preda al panico giro la testa nella direzione in cui stavo camminando e sento: «Tommy, stai attento!». Era Beatrice: che figura! «Troviamo una panchina dove sederci?» mi chiede lei, sorridendo. Io annuisco e la seguo, non pensando più al mondo intorno a noi. Quella ragazza mi toglie qualsiasi paranoia, è fantastica. Passiamo un pomeriggio stupendo in cui scopro un po’ il suo mondo. Anche lei è di Cavezzo, sebbene non l’abbia mai vista prima: vive spesso dai suoi nonni, che abitano vicino alla scuola e torna il sabato, dopo scuola. L’atmosfera si fa intensa, mi prende la mano e si avvicina. “Aiuto, cosa faccio ora?” penso, mentre abbozzo una carezza sul suo viso. D’improvviso ho il sole in faccia: lei mi sorride, mentre si avvicina sempre di più. Penso a Diana, mi congelo, mentre lei si avvicina ancora di più. Non ci penso più e mi lascio andare. Arriva a qualche centimetro dalle mie labbra, senza smettere di sorridere. Mi faccio coraggio e mi avvicino piano piano, lasciando tra noi pochissimi millimetri. D’improvviso, lei smette di sorridere, non l’ho mai vista così. “Che accade? Sarà colpa mia?” penso, andando in panico. Lei però non si allontana, anzi i suoi occhioni blu diventano vitrei e si incastrano nei miei. «Tommy, credevi davvero che mi interessassi?» mi dice con una vocina dolce, ma falsissima. A me inizia a mancare il terreno da sotto i piedi. «Sono io che vi perseguito tutti, voi e le vostre vite perfette. Meglio metterci un po’ di pepe, no? Ma ciò che è meglio è che non hai prove: lunedì, dopo la tua espulsione, nessuno ti crederà. Sono convincente in anonimo, anche il preside mi crede! Hai le ore contate» dice, poi sposta il suo viso, appoggiando le sue labbra sulla mia guancia, e vi imprime un bacio di Giuda. Ho i brividi: ora ho davvero paura di questa ragazza. Rimango immobile, seduto sulla panchina, guardandola mentre si allontana. Cerco una mossa che possa salvarmi dal suo “Scacco Matto”, mentre come uno sciocco fisso la mano che lei mi aveva afferrato qualche secondo fa.


martedì 6 aprile 2021

Un viaggio nella "Divina commedia"

Jasdeep Kaur di 2^D ha deciso di seguire l'esempio di Virgilio e Beatrice e farci da guida nel mondo di Dante, in occasione dei settecento anni dalla sua morte. La struttura dell'opera, i personaggi e il senso del poema ci appariranno più chiari e riusciremo ad immedesimarci nei bellissimi versi di questa poesia senza tempo. In questo viaggio letterario ci accompagnerà un sottofondo musicale che si adatta volta per volta al regno ultraterreno di cui si sta parlando... fino a riveder le stelle!


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lunedì 5 aprile 2021

La storia di Silvano il vulcano: come trasformare la rabbia in cura degli altri

Cosa combineranno assieme un vulcano che non sa controllare la propria rabbia, una saggia maestra, un'isoletta e una famigliola di gatti? Impareranno che aiutarsi è la cosa più bella per essere felici e che ogni persona ha un'energia particolare che gli è stata affidata: bisogna solo scoprire come incanalarla verso il suo vero scopo. Silvano il vulcano è una storia dedicata ai più piccoli, ma non solo, per il progetto di prevenzione al bullismo, che sviluppa tematiche di educazione civica, utili per le classi che vogliono approfondire con simpatia il concetto di cura degli altri e del bene comune. 


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venerdì 2 aprile 2021

News 1^A, notizie e storie di una magnifica classe - 5: Auguri di buona Pasqua!

La 1^A ritorna con un suo articolo, per augurare a tutti una "Buona Pasqua" molto speciale. Insieme agli auguri, infatti, le nostre giornaliste ci ricordano un importante appuntamento che cade quest'anno: i 700 anni dalla morte di Dante Alighieri. Buone feste a tutti i nostri lettori!


SPECIALE LETTERATURA: Dante e la sua opera 

(di Caterina Nannetti)


Clicca sul video per guardarlo




I PUPAZZI ANIMATI - 4° CAPITOLO: Dante e il teatro dei pupazzi
(di Clarissa Piccirillo)




I pupazzi erano entusiasti, perché stavano preparando uno spettacolo per inaugurare il 25 di Marzo, giorno dedicato a Dante Alighieri. Mentre preparavano lo spettacolo, arrivò un uomo che aveva un sacco di idee per la loro rappresentazione. Non lo sapevano, ma quella persona era proprio Dante Alighieri! Quando se ne accorsero, gli fecero una gran festa e da quel momento prepararono tutto insieme a lui! Inoltre i pupazzi fecero fare a Dante un giro per la città e lui capì una cosa che gli diede immensa gioia: l’amicizia nasce solo se si condivide la fantasia! Ecco perché la fantasia non deve mai mancare ad ogni ragazzo! Così Dante e i pupazzi allestirono un magnifico spettacolo per augurare a tutti una buona Pasqua e delle vacanze serene! Lo spettacolo fece andare in subbuglio tutta la città e piacque tanto, soprattutto ai ragazzi!


LA PASQUA IN UN DISEGNO 

(di Ilaria Bergonzini)



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LA PASQUA E'... 

(realizzazione grafica con wordart.com 

di Sofia Guerzoni)

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