Continua con la seconda uscita il nostro racconto a puntate sul cyberbullismo, scritto da Sara Caimi. Il protagonista si trova di fronte ad una scelta importante ed il suo cuore ne risulta diviso. Chi sarà la persona misteriosa che gli manda messaggi anonimi? E tu cosa avresti fatto al suo posto?
Ho
rimuginato il pensiero tutto il weekend e rimandato la decisione fino
a lunedì. Ma ora, alle 6:00 del giorno fatidico, non ho nemmeno
fame. Allontano la tazza colma di latte, mentre trattengo le lacrime.
Mi sono chiuso in camera mia tutto il tempo. Ho evitato Alberto che
mi ha chiamato parecchie volte.
L'ho
deluso, lo so. Mentre mi arrovello nei miei sensi di colpa, arriva un
messaggio: «Numero sconosciuto: hai scelto da che parte stare? Mi
raccomando: se mi deludi oggi, finirai nell'occhio del ciclone». Mi
parte un dolore allo stomaco, voglio darmi per malato. Mamma mi
accarezza la testa con affetto e mi dice: «Coraggio, tesoro,
muoviamoci. Bevi almeno metà della tazza: papà si è svegliato
prima, perché tu avessi la colazione fatta».
Non
ho scelto e non voglio farlo. Ma se voglio ottenere quel posto nel
giornale, devo eseguire. Ho deciso che terrò il piede in due scarpe.
Mando un messaggio ad Alberto: «Ciao, Albi! Scusa, sono molto
impegnato con l’ammissione all’esame della scuola. Ti invito a
casa sabato, così facciamo merenda insieme e giochiamo ai
videogiochi. Non riuscirò a parlarti in classe, sarà l’occasione
per raccontarci le nostre cose».
Devo
far finta di non calcolarlo a scuola, per preservarmi la reputazione
e vederlo fuori da scuola. Mi sento un vero vigliacco. Spero che
Alberto non lo scopra e che non lo faccia nemmeno l’artefice dei
messaggi anonimi. Sono tra l’incudine ed il martello. Alberto non
risponde e io sento di averlo tradito. Lui, che mi è sempre stato
accanto, non lo merita, ha sempre scelto di stare dalla mia parte. Io
da codardo, invece, ho scelto me stesso. Non merito nessun amico, ma
non ho nemmeno il coraggio di scegliere di meritarlo.
Con
malavoglia salgo sull’auto di mia mamma. Lei si aggiusta il
rossetto, guardandomi furtivamente. Forse ha capito, ma io non ho
intenzione di vuotare il sacco. Chiudo gli occhi, facendo finta di
dormire per tutto il tragitto.
Il
mio piano sembra funzionante, mi sento al sicuro. Sono davvero così
intelligente da essere riuscito a raggirare il mio aguzzino? Non ho
il coraggio di pensarci. Il motore della macchina, che fino a quel
momento ha accompagnato i miei pensieri, è spento dal giro di chiave
della mamma. Apro gli occhi, di scatto, come dopo un brutto sogno.
Dopo aver salutato, scendo dalla macchina, frastornato.
Guardo
la scuola: si erge incurante di tutto ciò che accade al suo interno.
Riluttante, prendo lo zaino e me lo carico in spalla. Sono pronto
alla battaglia di oggi.
Entrando,
incontro Gabriele, il migliore amico di Martina, che mi dice: «Amo
vedere quel sentore di paura nei tuoi occhi: hai una verifica
importante, immagino» e mi fa un occhiolino. Io gli rispondo, perso
nel mio mondo, con un semplice: «Sì, proprio una verifica. Buona
giornata».
Sono
una persona assente, il fantasma di me stesso. Non ho mai pensato
sarebbe arrivato il giorno in cui avrei dovuto scegliere tra i miei
amici ed i miei sogni. A quanto pare fa parte della crescita: devo
rinunciare a qualcosa di bello, per ottenere qualcosa di altrettanto
bello. Me lo ripeto in testa, mentre mi avvio verso la classe.
Arrivato sulla soglia della stanza, sento che è il momento di
decidere.
Scelgo
di non farlo. Mi tengo da parte, non volto le spalle ad Alberto e
cerco di non far trapelare informazioni riguardo a questo. Entra
Alberto, tiro fuori di fretta il mio quaderno delle ispirazioni,
perché lui possa credermi concentrato. Mi passa di fianco, mi
scruta: ha capito che sto fingendo? Poi passa avanti senza
disturbarmi: me la sono vista brutta.
L’atmosfera
nell’aria cambia: stupore ed imbarazzo aleggiano nell’aria. Io e
il mio grande amico non ci siamo salutati. Qualcosa sta accadendo.
Il
gruppo delle pettegole di Martina vuole saperne di più: viene
sguinzagliata Diana. Diana è la mia compagna di banco, si siede
vicino a me e mi pervade con quel suo profumo alla vaniglia ormai
nauseabondo. Non ha il coraggio di parlare con me, lo vedo dalla sua
goffaggine e lo percepisco dai suoi respiri. Vedo Martina in fondo
all’aula arrabbiarsi, facendole segno di procedere.
La
mia compagna di banco, per paura della femmina alfa del suo gruppo,
si sblocca: «Senti Tommy, ho visto che non hai parlato con Alberto
prima… non l’hai nemmeno guardato. Ti va di vederci domani pomeriggio, così mi racconti che è successo?». Panico: non sono
mai uscito solo con una ragazza e non voglio di certo farlo per la
prima volta con una sottospecie di spia russa mandata dalla regina
del gossip.
Mi
fermo, appoggio la penna e la guardo. I suoi capelli bruni sono
perfettamente raccolti in una folta coda di cavallo riccia, mentre i
suoi occhi marroni sono sottolineati da delle lentiggini che sembrano
appena sussurrate. Le fisso le labbra carnose, da cui sono appena
uscite quelle parole. Lei si sente a disagio: lo vedo dalle sue mani
che continuano ad intrecciarsi e a lasciarsi andare per mezzo delle
lunghe dita affusolate che finiscono nel colore verde pastello di cui
ama pitturarsi le unghie.
Martina
aspetta impaziente in fondo all’aula e mi scruta: sta perdendo la
pazienza. Diana inizia a tremare di paura: so che la sua “capa”
non la perdonerebbe nel caso tornasse a mani vuote. In un
pico-secondo decido che userò la situazione a mio vantaggio. «Certo,
domani pomeriggio sono libero. Da te o da me?» dico tutto d’un
fiato. Lei sorride e, sollevata, mi ringrazia, tornando dalle sue
amiche. Ho accettato la spia, sarò in grado di gestirla?
Mi
sembra di essere chiuso in gabbia. Un giramondo che crede di
viaggiare, ma ripercorre sempre la stessa strada, effetto labirinto.
Mi sento come Icaro, imprigionato perché Teseo è riuscito ad
entrarci ed uscirci. Se solo avessi anch’io la mia Arianna, un filo
che mi conduca nelle viscere della terra e che mi permetta di uscirne
vivo. Invece sono qui con Dedalo, mio padre. Rappresenta la mia
coscienza quasi anziana, senza filtri e talvolta insistente. Siamo io
e le mie paure, costantemente legati e costantemente dipendenti.
Riuscirò a fare in modo che Diana, senza accorgersi, diventi la mia
Diana? La regina che mi ha rinchiuso qui dentro è Martina: non ho
più il mio amico di sempre, devo prendere ciò che arriva.
Mi
risveglio dalla mia riflessione, mancano pochi minuti dal suono
dell’ultima campanella della giornata. Diana mi passa un
bigliettino, sorridendo. Mentre guardo la prof accomodarsi alla
cattedra per firmare il registro, nascondendomi dietro il mio
voluminoso astuccio, apro il bigliettino e lo leggo: «Non vedo l’ora
di vederti domani pomeriggio. Credo avremo bisogno l’uno dell’altra:
organizziamo da te, perché Martina vuole appostarsi per ascoltare.
Passo per le 16:00».
Impulsivamente
mi viene da declinare: in casa mia non entra proprio nessuno e
sospetto sia una mossa per conquistarsi la mia fiducia. Inspiro e
rifletto, mia mamma sarà in casa. Qualsiasi problema, un adulto c’è.
Rispondo
al biglietto con un altro, intascandomi il primo. Le lascio il
beneficio del dubbio: non voglio che Martina lo trovi. «Via
Gioachino Rossini, 7 – Cavezzo» scrivo frettolosamente, prima di
ritirare tutto dal banco. Glielo porgo e lei mi fa un occhiolino. Il
dado ormai è tratto, sto per aprire la porta al lupo.