venerdì 25 marzo 2022

FARE LA PACE

Si parla tanto di pace, ma come si fa? Cosa serve? Noi lo abbiamo chiesto a loro, i bambini, perché loro hanno sempre tutte le risposte, quelle vere, quelle giuste, quelle semplici. 
Perché per fare le grandi cose bisogna partire da quelle piccole.

Scuola dell'infanzia "Il Castello" 




giovedì 17 marzo 2022

"Concilia?" Il video dei nostri ragazzi per il progetto "Mobilityamoci"


"Siamo nati per camminare": è questo che afferma con gioia la locandina del progetto "Mobilityamoci", che vede coinvolta la nostra scuola per favorire la mobilità sostenibile. E così i nostri ragazzi si sono trasformati in attori e hanno creato una pubblicità per ricordare a tutti che la zona ZTL del parcheggio della scuola va rispettata. Con ironia e consapevolezza ecologica il messaggio proposto non può che far crescere dei cittadini responsabili, ma con il sorriso. 


Clicca QUI per vedere il video

venerdì 11 marzo 2022

Arte del papà 19/03/22

Scuola dell'infanzia "Il Castello"

-Sezione A-


L'arte l'abbiamo vissuta, respirata, giocata e realizzata. L'abbiamo osservata, ascoltata, sentita e immaginata.

I bambini della sezione A hanno realizzato ritratti per il loro papà partendo da una conversazione che suscitasse ricordi ed esperienze, modi di fare e di dire dei loro papà, che li aiutasse a cogliere tratti somatici specifici, poi hanno cercato, tra le proposte, un viso che assomigliasse e lo hanno arricchito di dettagli significativi.

Dalle conversazioni sono usciti commenti come: "Il mio papà lo faccio con un occhio chiuso, perché a casa a volte dorme sul divano!"; "Gli faccio la bocca verde perché usa il dentifricio all'erba!"; "Il mio papà ha il dito sulla bocca perché dice di fare silenzio ai miei fratelli"...

Guardando le opere soffermatevi sui dettagli perché non sono lì a caso!




Clicca sul video per guardarlo


martedì 8 marzo 2022

I racconti contro il bullismo della 1^B

Mettersi nei panni degli altri, sentire quali sentimenti può provare un'altra persona, riflettere sulle conseguenze delle nostre parole ed azioni... è ciò che sviluppa in un adolescente l'empatia e ci insegna a diventare persone responsabili. Siamo esseri narranti, perché da sempre l'uomo è un essere narrato, in poesie, racconti, romanzi: solo così, prendendo la "maschera" di un altro, può scoprire cosa accade veramente in sé e in ogni persona. E' quello che ha cercato di fare la prof.ssa Roberta Malagoli con la classe 1^B, prendendo spunto dalle tematiche del bullismo e della discriminazione che, come ogni anno, affronta la nostra scuola. Con risultati davvero sorprendenti.
Vi proponiamo tre racconti ed un fumetto, con la speranza che il lettore possa trovare uno specchio in cui riconoscersi e diventare grande. 


Il coraggio di Poky (di Giulia Gallini)



In Italia, in un paese chiamato Cavezzo, abitava una ragazza di nome Licia. Licia era la padroncina di tre cani: Rex, Oscar e Poky. Rex era un pastore tedesco di grande stazza. Subito dopo veniva Oscar, un bellissimo husky e infine c’era Poky, un tenero cucciolo di golden.

Era ormai passata una settimana da quando i tre cani erano stati adottati da Licia e la ragazza li amava per com’erano, tuttavia i due cani più grandi con il tempo si dimostrarono cattivi nei confronti di Poky.

Un caldo pomeriggio d’estate il cucciolo si avviò felice verso i suoi compagni al centro del giardino di Licia per fare la loro conoscenza. “Ciao!” disse allegro, “Io sono Poky. Giochiamo insieme?”. Rex e Oscar si scambiarono uno sguardo d’intesa poi, con un ghigno maligno, si rivolsero al cagnolino: “E tu chi saresti? Sei un po’ troppo piccolo per essere un cane, non credi?”. Dopo queste parole, Rex si mise a ridere e Oscar aggiunse: “Avanti, sparisci! Sei così piccolo e insignificante che se rimani qui al centro del giardino, rischiamo di calpestarti!”. Con le lacrime agli occhi e le candide orecchie afflosciate per la tristezza, il piccolo golden se ne andò.

La mattina dopo Licia fece il bagnetto ai suoi cani e nel pomeriggio li portò a fare una passeggiata al parco. Il sole era alto nel cielo e Poky era di nuovo felice. Quando la ragazza gli sganciò il guinzaglio, cominciò a scorrazzare felice sul prato, inseguendo le farfalle e abbaiando euforico. Ad un certo punto arrivarono anche alcuni bambini che gli accarezzarono il pelo color caffelatte. Quella sera Poky si addormentò felice, guardando le stelle.

Il giorno dopo c’era una brezza frizzante che scuoteva leggermente gli alberi: era la giornata perfetta per allenarsi! Poky saltò giù dal suo cuscino e raggiunse gli altri due cani in giardino: stavano facendo una gara di velocità. Il piccolo golden si unì ai compagni e cominciò a correre, divertendosi tantissimo, ma ecco che Rex e Oscar gli sbarrarono la strada, costringendolo a fermarsi di colpo.

Credi davvero di essere agile e veloce come noi? Ma guardati, sei così piccolo!”. L’husky sorrise con la cattiveria dipinta sul muso. Rex si avvicinò a Poky: “Vediamo se riesci ad afferrare la tua amata pallina” e corse a prendere la pallina del cucciolo. Quando la trovò la lanciò in mezzo all’alta siepe che circondava il giardino di Licia. “No!” gridò Poky, ormai però era troppo tardi: la sua pallina era finita troppo in alto tra le foglie e lui non sarebbe mai riuscito a riprenderla. Il dispiacere per la sua pallina e le offese di Rex e Oscar lo fecero scoppiare a piangere e, quando i due cani cominciarono a ridere, corse via in lacrime. Si rifugiò sotto la grande quercia che cresceva sul vialetto di fianco alla casa di Licia. Da lì poteva scorgere l’husky e il pastore tedesco scorrazzare felici nei campi.

Stava per scendere la sera, quando vide con la coda dell'occhio un furgone verde militare parcheggiato nel vialetto. Curioso, il piccolo golden si avvicinò rimanendo nella penombra e si accorse che un uomo dall’aria losca si dirigeva verso Rex e Oscar: spaventato, si nascose dietro un cespuglio, in attesa. Sbirciò tra le foglie e vide che l’uomo aveva chiuso in una gabbia i due cani e li aveva caricati sul furgone per portarli via. Era terribile! L’uomo era un accalappiacani abusivo che rapiva animali per poi rivenderli a caro prezzo. Non c’era tempo da perdere: anche se Rex e Oscar erano stati cattivi con lui, Poky sapeva che doveva salvarli. Balzò fuori dal suo nascondiglio e cominciò a inseguire il furgone verde.

Dalla vetrata posteriore poteva intravedere un misto di paura e stupore negli occhi dei cani. Dopo una lunga corsa attraverso le vie di Cavezzo, finalmente Poky riuscì a raggiungere la maniglia del furgone e con un agile balzo aprì lo sportello. Rex e Oscar uscirono dalla gabbia e saltarono giù. Fortunatamente arrivò la polizia che arrestò il ladro; i poliziotti contattarono anche Licia che poco dopo arrivò.

L’husky e il pastore tedesco guardarono il piccolo cucciolo di golden ancora ansante per la lunga corsa. La loro espressione era diversa: non c’erano più odio e disprezzo sui loro musi, ma solo gratitudine e rimorso.

Scusaci, Poky” disse Rex al cagnolino, “Ci dispiace”.

Per quale motivo ci hai salvati? Noi siamo stati cattivi con te!” domandò Oscar, anche lui dispiaciuto.

Poky sorrise: “Vi ho salvati perché siete comunque i miei amici” rispose. “Tutti noi possiamo sbagliare, l’importante è non commettere più gli stessi errori!”.

Dopo quelle parole i tre cani tornarono a casa con Licia e giocarono tutta sera con la pallina di Poky. Ora si divertivano tutti e tre per il semplicissimo motivo che erano diventati amici.


La storia di Jade (di Mina Mantovani)


C’era una volta Jade, ragazza molto alta con numerose lentiggini, a cui, quando iniziò ad andare a scuola, sin dai primi giorni, venne puntato il dito contro. L’affermazione era: “Non c’è posto per le giraffe!” oppure “Te li hanno fatti i vermi quei buchi?” seguite da immancabili risatine generali.

C’era anche chi la guardava senza cattiveria, ma non la aiutava per paura di essere preso di mira a sua volta o perché condizionato dall’opinione pubblica. Le maestre classificavano queste battute come “ragazzate”, sostenendo che si trattasse solo di una fase, ma per Jade non era normale!

Non era normale che i nomignoli le penetrassero il cuore, rimanendo sopiti, ma non del tutto poiché le inviavano dolorose stilettate nei momenti più inopportuni. Non era normale piangere in bagno tutte le lacrime che non riusciva a versare davanti agli adulti, incapace di confessare loro la causa di quel dolore. Non era normale piegarsi a quelle cattiverie e sentirsi stupida e debole.

Chi aveva iniziato tutto ciò, ovvero Rocco, la illudeva dicendole che se gli avesse passato le risposte durante le verifiche, avrebbe smesso. Lei lo faceva sperando che ogni volta fosse quella buona, sognando che davvero chi aveva iniziato quel tormento avrebbe posto fine a tutto ciò, ma non fu così.

Però improvvisamente qualcosa cambiò.

Un normalissimo giorno il bullo e i suoi compagni erano pronti a deriderla, il ragazzo aprì la bocca pronto a vomitare cattiverie, ma ne uscì solo un suono strozzato, forse dovuto all’incubo terrificante della notte precedente dove giraffe imbizzarrite lo inseguivano e lo braccavano da ogni parte.

Comunque, fra una balbuzie e l’altra queste furono le sue parole: “E-E-ehi q-q-qui no-non c’è p-p-p-posto… per giraffe.”

Fece appena in tempo a terminare la frase che la classe scoppiò in un’unica gigantesca risata.

Tutti… tranne Jade.

Inaspettatamente lui le porse le più sentite scuse che un balbuziente abbia mai pronunciato, la ragazza le accettò, ma non sorrise.

Perché Rocco si pentì?

Per la prima volta aveva provato una piccola parte del dolore inferto alla ragazza e capì che quelle scene erano rimaste indelebili nel suo animo, come succo di fragole su una canottiera, e le prese in giro cessarono.

Frequentando una psicologa, Jade riuscì a cancellare, in buona parte, il suo trauma.

Questa storia porta un messaggio di speranza e un insegnamento: non fare agli altri quello che non vuoi che venga fatto a te! Questa frase ci viene proposta e inculcata sin da piccoli, ma spesso la ignoriamo di proposito o semplicemente non capiamo il male che possiamo causare con quelle che dal nostro punto di vista sono piccolezze, ma ciò si dovrebbe capire prima di essere costretti a provarlo sulla propria pelle.

Il finale però ci fa comprendere che si possono superare le difficoltà, anche se non sempre è così immediato, e dobbiamo portarne il ricordo per non ripetere l’errore e passare da vittima a bullo.


Basta con le umiliazioni! (di Mia Morselli)


Tutto cominciò in un giorno di autunno, quando mi accorsi, all’entrata della scuola, del fiatone di Nisse. Abitavamo in un piccolo paese di campagna, i miei compagni ed io raggiungevamo la scuola per partecipare alle lezioni della maestra Elsa, a piedi, in compagnia di alcuni di noi o correndo per non arrivare in ritardo.

Io non tardavo mai, ma quel giorno mi ero dilungata troppo a fare colazione e arrivai dopo il suono della campanella. Vidi il mio compagno fuori dalla porta, che esitava ad entrare. Non diedi peso a questo fatto, ma mi incuriosii e cominciai ad osservarlo.

Nisse era il bambino più basso della classe (anche se nessuno di noi era una pertica) e sembrava il più piccolo; con quel viso rotondo e tutte quelle lentiggini, assomigliava ad un bambolotto. Si scherzava durante la lezione, ma niente di serio all’ apparenza: ci prendevamo in giro uno con l’altro, anche se ultimamente nei confronti di Nisse, lo si faceva di più, ma finiva tutto lì.

Finché una mattina, ahimè, arrivata ancora in ritardo e ovviamente di corsa, fuori dalla porta della classe trovai il mio compagno di nuovo col fiatone e con tutti gli occhi rossi, mentre cercava di asciugarsi il viso stranamente viscido e tutto bagnato. Gli chiesi se aveva bisogno di aiuto, ma accortosi di me, volò letteralmente in classe: per tutta la mattinata rimase chinato sul banco, senza mai alzare il viso.

Ero curiosa di tutto ciò e mi misi a seguirlo ogni mattina, incamminandomi subito dopo di lui (abitava qualche decina di metri più avanti rispetto a me e mi era possibile vederlo uscire di casa) e finalmente scoprii cosa succedeva.

Tutti i giorni, un gruppetto di miei compagni lo inseguiva rincorrendolo, facendo commenti sulle sue gambe corte e intimandogli di correre più veloce che potesse per arrivare a destinazione, altrimenti l’avrebbero punito, sputandogli in viso. Ero pietrificata! Non mi ero mai accorta che succedesse tutto questo lungo il percorso di scuola e tanto meno con un atteggiamento così ingiusto, semplicemente perché lui era il più basso tra noi alunni.

Ma mi indignò soprattutto la prepotenza di alcuni bambini che conoscevo e che non avevo mai immaginato così. Per fortuna, nessuno mi aveva visto, altrimenti chissà cosa sarebbe successo… se la sarebbero presa con me? Riflettei: come mi sarei sentita al suo posto? Non volevo davvero pensarci! Decisi allora di fare qualcosa!

Passando inosservata, andai a parlare con la maestra di tutto ciò che era accaduto, che avevo visto e capito, per poter mettere fine alla sofferenza di Nisse e al mancato rispetto che gli portavano. Tutto si risolse per il meglio: i miei compagni furono puniti dai loro genitori e Nisse non fu più maltrattato.

Chissà se per lui qualcosa cambiò! Chissà se da quel giorno fece fatica a fidarsi di nuovo degli amici! Di certo non avrà mai dimenticato, neanche una volta cresciuto, quell’esperienza sicuramente dolorosa.

Io non lo saprò mai, ma non so se troverei di nuovo il coraggio di parlare di ciò che ho visto: non tanto per la paura della reazione dei bulli, anzi, tutto ciò che ho fatto per aiutare il mio amico in difficoltà lo rifarei altre cento volte, ma credetemi: descrivere una scena che consiste nell’assistere all’umiliazione di un compagno indifeso, richiede vera prodezza e forza d’animo e spero non capiti mai più.